E adesso? Due strade davanti: fare l'irriducibile, chiudersi nel silenzio, e affrontare il carcere a vita come l'ultima impresa di una vita da rivoluzionario. O scendere a patti, cercare in qualche modo di tenersi aperta la strada per tornare, tra una decina d'anni, ad assaporare la libertà.
Se Battisti vorrà scegliere la seconda strada, avrà un solo strumento a disposizione: pentirsi, ovvero «aiutare concretamente nella raccolta di elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per l'individuazione o la cattura degli autori dei reati», come dice l'articolo 58 della legge penitenziaria. Il suo problema, però, è che di segreti da svelare, nell'epopea sanguinaria dei «Proletari armati per il comunismo», non ce ne sono più. Così per dare un po' di sostanza ai suoi verbali potrebbe inventarsi un po' di quelle fantasiose rivelazioni che tanto piacciono ai cultori della dietrologia. E un assaggio lo dà già l'altro giorno suo fratello Vincenzo con una dichiarazione al Messaggero: «Se Cesare parlasse farebbe crollare la politica, non hanno mai voluto che parlasse perché sono tutti compromessi».
Più che di improbabili complotti istituzionali, se decidesse di collaborare Battisti potrebbe parlare di qualcosa di assai più concreto: la rete di complicità e di appoggi che lo ha accompagnato durante i quasi quarant'anni di latitanza, e che è oggetto della nuova indagine della Procura di Milano. Le tracce dei suoi favoreggiatori sono già indicate nei rapporti che la Digos si prepara a consegnare al pm Alberto Nobili, con molti nomi e cognomi. Ma è chiaro che Battisti potrebbe aggiungerne numerosi altri: soprattutto relativi agli anni più remoti, dalla sua evasione nel 1980 fino al ruolo degli intellettuali e dei servizi segreti francesi. Sarà così ingrato da spiattellare tutto in cambio di una speranza da semilibero?
La sua biografia, comparata con quella di altri protagonisti della lotta armata, dice che non si tratta di una prospettiva improbabile. Tanto più spietati erano i killer del terrorismo rosso, tanto più rapida era la loro scelta di «cantare» dopo l'arresto: di esempi, da Roberto Savasta a Michele Viscardi, ce ne sono molti. E che Battisti fosse di una ferocia quasi patologica lo raccontano i suoi stessi compagni dei Pac, nei verbali del processo: dopo le uccisioni andava a vantarsi con le ragazze, parlava di «che effetto fa vedere il sangue di un uomo colpito».
E Giuseppe Memeo, che con lui partecipò all'uccisione dell'agente della Digos Andrea Campagna, raccontò che durante un sopralluogo in automobile sotto la abitazione del poliziotto, dopo qualche passaggio si era deciso che Battisti scendesse dall'auto e facesse un giro a piedi per non dare nell'occhio. A un certo punto Memeo sente dei colpi di pistola e vede arrivare Battisti di corsa che salta in macchina e dice «andiamo, andiamo».
Era successo che Battisti si era imbattuto proprio nel povero Campagna e senza pensarci due volte aveva estratto la pistola e lo aveva ammazzato, trasformando il sopralluogo in esecuzione.Da uno così ci si può aspettare di tutto.
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