Se il silenzio è il complice più perfido

Dove eravamo rimasti? Roma si riscopre corrotta da quella mafia Capitale che non doveva esistere, l'Italia si risveglia infetta dalla 'ndrangheta.

Se il silenzio è il complice più perfido

Dove eravamo rimasti? Roma si riscopre corrotta da quella mafia Capitale che non doveva esistere, l'Italia si risveglia infetta dalla 'ndrangheta. L'indignazione durerà il tempo di montarci su qualche talk show, titillare l'ego delle tante sedicenti icone antimafia e poi tutto finirà in niente. Come sempre. La battaglia contro le mafie che inquinano l'economia legale sembra persa in partenza. Se non fosse per il minuzioso lavoro di ricostruzione delle Procure antimafia, per il sacrificio delle forze dell'ordine e per l'azione capillare della Dia guidata da Maurizio Vallone (da ieri potenziata per difendere il tesoretto del Pnrr), la criminalità organizzata continuerebbe semi indisturbata il suo sporco lavoro: trasformare gli enormi proventi del narcotraffico in soldi puliti da investire in cryptoasset e Nft. La lupara non spara più, e guai a parlarne. Per poco non ci lascia le penne e l'inchiostro quel rompiscatole di Klaus Davi, definito «uno sbirro» («Per me è un onore che un po' mi spaventa», dice il massmediologo). Ma rintracciare questo enorme flusso di denaro, ricostruirne i passaggi di mano, seguire come mollichine il percorso vorticoso da una società a un'altra, da un ristorante a un compro-oro, in lavatrici che ripuliscono i soldi grazie all'«invasione fiscale» di false fatturazioni, ricostruire le dinamiche di questo Monopoli impazzito richiede tempo e risorse quasi infinite. E per cosa, poi? Per raccogliere dopo sette anni di indagini e ricostruzioni un pugno di arresti che sebbene eccellenti appaiono comunque un misero bottino rispetto ai gonfi forzieri-granai delle mafie in giro per il mondo. Boss come Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo, come in una dual governance stile Mediobanca, coniugavano investimenti miliardari nel metaverso della finanza grazie alla complicità di professionisti corrotti, che riuscivano ad aggirare le stringenti norme in materia di antiriciclaggio e compliance, impartendo loro ordini con liturgie ottocentesche, incontri furtivi, mezze parole, il solito metodo mafioso. «Siamo come quelli di giù, una propaggine di là sotto, una carovana per fare la guerra», dicono gli intercettati in un italiano appena masticato.

Sono soltanto loro a muovere le fila di questa macchina criminale? Implausibile pensarlo, impossibile scriverlo senza scardinare quella narrazione da guardie e ladri che troppi danni ha ormai fatto. E non certo ai boss.

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