Roma - Arriva la bomba. Hanno sganciato la Moab, gli effetti stanno travolgendo anche l'M5S. «Altro che Renzi, cosa ci preoccupa veramente è Trump e il suo trumpismo», dibattono da giorni i vertici grillini. Grillo & Associati hanno già stimato, sondaggi alla mano, le ripercussioni della «guerra scatenata dal presidente americano, che ci costerà almeno 4/5 punti percentuali, così il rischio concreto è di non arrivare al 31%, altro che quel 40% che ci sembrava raggiungibile e che con il premio di maggioranza ci avrebbe finalmente permesso di andare a governare da soli, senza alleanze che non possiamo e non vogliamo fare».
Guerra, morti, paura, imbarazzo e incertezza. La bomba avrebbe ucciso anche 31 capi dell'Isis. E fatto scendere al 31% i lanciatissimi sondaggi dei Cinque Stelle: questa, grazie al cielo, è un'altra storia. Che si intreccia, certo. Ed è qualcosa che Grillo & Casaleggio non hanno sottovalutato. «È una questione di affidabilità», hanno spiegato ai cittadini militanti, ai sindaci pentastellati, a deputati e senatori. «L'onda lunga della vittoria di Donald Trump si era fatto sentire anche per noi, i suoi elettori americani sembrano del tutto paragonabili a quelli che in Italia scelgono il Movimento, chi non ne può più della vecchia politica, delle solite facce, dei soliti giochi di potere. Ora quello che Trump ha scatenato, l'altissima tensione con la Corea del Nord, i conflitti diplomatici con Russia e Cina, il rischio che questo conflitto scappi di mano, ci stanno penalizzando. Trump sembra inaffidabile e con lui tutto quello che si presenta come una novità. Per questo alcuni sondaggi che abbiamo già letto ci vedono in calo». Non solo, c'è dell'altro. Alla vigilia della vittoria del tycoon statunitense da Grillo in giù era stato tutto un tripudio: blog, tweet, dichiarazioni e via discorrendo. In Italia non solo i Cinque Stelle avevano salutato l'arrivo dell'uomo nuovo, ma sicuramente i grillini si erano distinti per manifesto entusiasmo. E ora? Matteo Salvini, per esempio, si è smarcato subito, già dal primo attacco ordinato da Trump contro la Siria. Forte, il leader leghista, anche del rapporto che cerca di consolidare con gli uomini del leader russo, Vladimir Putin. Rapporti, in verità, che stanno cercando apertamente anche gli uomini di Grillo. Ma l'idea è che la galassia dei Cinque Stelle sia ancora più articolata, difficile schierare la base con Trump o Putin. Meglio, allora, tacere. Ed è infatti questo l'ordine impartito: stare più coperti possibile sull'offensiva di Trump. Sul blog e in onda meglio concentrarsi su «i veri problemi che affliggono gli italiani, il lavoro innanzitutto e lanciare magari l'offensiva contro l'articolo 39 della Costituzione, quello che garantisce i sindacati».
Questi erano i programmi dei grillini, prima del voto. Obiettivo: convincere i «moderati» e soprattutto quelli che non votano, «fino a raggiungere il 40%». Anche per questo si stava programmando una convention nazionale diversa dalla precedente. Un anno fa Italia Cinque Stelle si era tenuta a Palermo, in un tripudio di gazebo, happening e comizi. «Facciamola in centro Italia o sulla riviera adriatica e stavolta meno gazebo e più seminari», era la strategia. Per dare la caccia ai moderati, certo. Ora i piani si complicano e la «narrazione» (così pare che i grillini definiscano tra loro le strategie politiche) diventa un'altra. Questa è appunto l'ultima narrazione: «Alle politiche noi prendiamo il 31%, secondo arriverà il centrodestra perché vedrete che Berlusconi tornerà a capo della coalizione. Il Pd sta calando a picco, non arriverà al 25%. Dopo le elezioni si andrà tutti e tre dal presidente Mattarella. Noi indicheremo Luigi Di Maio come premier, loro Berlusconi, gli altri Renzi. Non se ne fa nulla? Faremo un secondo giro, magari proponendo un altro candidatopremier. Non solo per trovare i voti, ma anche per dare un segnale forte ai moderati. Nomi? Niente, altrimenti li bruciamo, ma sarà possibile fare anche qualche piccola forzatura per arrivare al governo». Nomi due in verità: Alessandro Di Battista e Chiara Appendino.
Trovando, al primo giro, un accordo con un altro partito che garantisca la maggioranza al governo. Insomma resta un solo nome, quello della sindaca di Torino. «Chiara sì che sarebbe lontana dal populismo di Donald».GiTi
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