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Se il Tevere batte il Tamigi

Abbiamo sempre guardato con ammirazione alle istituzioni britanniche, che in mancanza di una Costituzione scritta hanno una Costituzione vivente con i fiocchi.

Se il Tevere batte il Tamigi

Fin dai tempi del nostro Risorgimento ci siamo comportati come quei bambini poveri che guardano ai balocchi in vetrina senza possibilità di acquistarli. Fuor di metafora, abbiamo sempre guardato con ammirazione alle istituzioni britanniche, che in mancanza di una Costituzione scritta hanno una Costituzione vivente con i fiocchi. Una Costituzione, quest'ultima, che si basa da gran tempo su un bipartitismo che ha garantito di solito una invidiabile stabilità ministeriale.

Purtroppo noi siamo stati costretti a fare altrimenti fin dai tempi dello Statuto albertino, una fotocopia della Carta francese del 1830 proprio nel momento in cui la Francia nel 1848 si dava una effimera Costituzione fondata su una sorta di semipresidenzialismo. Ma perché non siamo approdati né nel 1848 né cent'anni dopo sulle rive del Tamigi? Il motivo è di solare evidenza: perché non siamo mai riusciti a dar vita a istituzioni fondate sul bipartitismo. Come la Gallia di Giulio Cesare, il nostro Parlamento si è diviso in tre parti: un grosso centro ministeriale contrapposto alle opposizioni di sinistra e di destra. Croce e delizia al tempo stesso. Croce perché questo triciclo, per dirla con Giovanni Sartori, non ha garantito una stabilità ministeriale di stampo britannico. Delizia, perché abbiamo fatto di necessità virtù. Senza il sullodato triciclo avremmo avuto un'instabilità ministeriale ancora più precaria e forse le nostre istituzioni sarebbero andate a carte quarantotto.

Se si eccettua la bicicletta del bipolarismo, inveratasi grazie alla legge elettorale per tre quarti maggioritaria con collegi a un solo turno che reca il nome dell'attuale capo dello Stato e alla provvidenziale discesa in campo di Silvio Berlusconi che sbaragliò la gioiosa macchina da guerra allestita alla bell'e meglio da Achille Occhetto, il triciclo ha avuto l'ulteriore inconveniente di far regredire i cittadini a sudditi perché le combinazioni ministeriali non erano la conseguenza delle pronunce degli elettori. No, si materializzavano solo dopo il voto. Con tanti saluti al popolo sovrano.

Adesso si direbbe che le parti si siano invertite perché per una volta tanto un bel sollievo non è il Tevere che va a rimorchio del Tamigi ma è il Tamigi che guarda con una punta d'invidia all'ex biondo Tevere. Per quanto possa dispiacere ai costituzionalisti rinchiusi in una torre d'avorio, tutto questo accade non tanto per motivi istituzionali. A fare la differenza non occorre scomodare Thomas Carlyle - sono gli uomini politici. Come sosteneva ai tempi suoi Francesco Crispi. Da una parte abbiamo Boris Johnson, un inglese piuttosto anomalo costretto alle dimissioni dai suoi per le gaffe a getto continuo. Dall'altra abbiamo Mario Draghi, che come la torre di Pisa un po' pende ma non viene giù. Lui non lascia, raddoppia. E va avanti come un treno, consapevole che come il premier britannico, quello vero, ha il decreto di scioglimento in tasca.

Con il pieno avallo di Sergio Mattarella.

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