«Se vince il Sì a rischio 15mila posti di lavoro»

Timori per le conseguenze della consultazione di domenica. Ecco cosa si vota

Francesca Angeli

Roma Voto o vado al mare? E se voto a che cosa servirà? Sono questi i veri quesiti che si porrà la maggioranza degli italiani davanti alla richiesta di partecipare alla consultazione popolare sulle trivelle.

Quello indetto per domenica 17 aprile rischia infatti di essere ricordato come il referendum meno comprensibile nella storia d'Italia a cominciare dal fatto che viene definito delle «trivelle» quando in realtà non si decide per nuove perforazioni. Anche le conseguenze di una vittoria del sì o del no non sono facilmente valutabili. Il quesito riguarda l'abrogazione della norma che permette lo sfruttamento dei giacimenti già in attività entro le 12 miglia dalla costa fino a che c'è ancora gas o petrolio. Agli italiani si chiede se si deve abrogare la proroga e dunque fermare i giacimenti quando scadranno le concessioni. Con il sì quindi i giacimenti verrebbero chiusi alla scadenza. Gli impianti interessati sono una novantina e la maggioranza, oltre 70, sono targati Eni e sono situati di fronte all'Emilia Romagna.

Gli unici a vedere con chiarezza e quindi con preoccupazione il dopo referendum se vincesse il sì sono i lavoratori del settore. Un rischio denunciato anche dai sindacati che parlano di una perdita di 10-15mila posti di lavoro. In particolare i dipendenti occupati nel distretto di Ravenna si sono fatti sentire con campagne sui social e sui media per sostenere le loro ragioni. Solo nel loro distretto, dicono, si perderebbero 6.000 posti di lavoro se passasse il sì. Ecco perché è meglio che il referendum affondi, aggiungono, cercando di sfatare alcuni «miti» sulle piattaforme per l'estrazione del gas metano. Prima di tutto fanno notare che le fonti alternative, le rinnovabili, non sono già disponibili e dunque con la chiusura delle piattaforme l'Italia sarebbe costretta ad aumentare le importazioni, incrementando un traffico navale che oltretutto è a rischio inquinamento visto che si parla di gas e petrolio. Non è vero poi che si fermerebbe il petrolio perché la maggioranza dei giacimenti è di gas metano. Assurdo, concludono, chiudere strutture già fatte e che funzionano senza avere l'alternativa.

Sul fronte politico non è possibile distinguere una posizione dei partiti pro o contro. Soltanto grillini e leghisti sono compatti a favore del sì mentre in tutti gli altri schieramenti si registrano posizioni fortemente contrastanti. Nel Pd in particolare il referendum sembra si sia trasformato in una sorta di prova di forza della minoranza contro il premier Matteo Renzi che preme per l'astensione definendo il referendum «una bufala», appoggiato dall'ex capo dello Stato Giorgio Napolitano.

«Inaccettabile che il presidente del Consiglio faccia il capo del partito dell'astensione - attacca Roberto Speranza, minoranza dem - Il Pd significa partecipazione dal basso».

Giovanni Toti, governatore della Liguria di Forza Italia, voterà «sì» e giudica «inopportuno chiedere astensione» . Anche il capogruppo azzurro alla Camera, Renato Brunetta, è contro l'astensione ma voterà «no».

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