Sea Watch a Lampedusa Salvini: "Qui non entra". Ma sbarcano in dieci

Lo scafo della Ong, con 52 migranti, rischia la confisca. Sull'isola solo chi ha bisogno di cure

Sea Watch a Lampedusa Salvini: "Qui non entra". Ma sbarcano in dieci

Il copione si ripete, ma questa volta l'ennesimo braccio di ferro con i talebani dell'accoglienza dovrebbe sfociare nella confisca della nave con i migranti al largo di Lampedusa oppure in multe salate previste dal decreto sicurezza bis. Ieri il ministro dell'Interno, Matteo Salvini - seguito dai colleghi Danilo Toninelli (Trasporti) e Elisabetta Trenta (Difesa) - ha firmato «il divieto di ingresso, transito e sosta a Sea Watch 3 nelle acque italiane, come previsto dal nuovo Decreto Sicurezza» che è stato firmato dal capo dello Stato e pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Oltre a Salvini dovranno approvare la decisione i ministri delle Infrastrutture e Trasporti e della Difesa. La nave dell'Ong tedesca, che aveva recuperato 52 migranti al largo della Libia, nonostante l'intervento di una motovedetta di Tripoli, si trova a 15 miglia da Lampedusa. Lo stesso Salvini, dopo una visita medica a bordo, ha autorizzato lo sbarco di 10 persone: tre minori, tre donne, di cui due incinte, due accompagnatori e due uomini che necessitano di cure.

Quest'anno è la terza volta che Sea watch fa lo stesso scherzetto sfidando il Viminale e la legge. Il prossimo passo è quello di entrare in porto per sbarcare tutti i migranti grazie alla stato di necessità, come il peggioramento meteo o alla magistratura per un sequestro preventivo, che poi va a finire in una bolla di sapone con relativo rilascio dell'imbarcazione pronta a tornare davanti alla Libia.

Questa volta i magistrati non dovrebbero intervenire a gamba tesa. Il capitano della Sea watch 3 può sempre decidere di non rispettare il divieto, ma scatterebbero le sanzioni del nuovo decreto. Il prefetto, non le procure, può decidere una multa da 10mila a 50mila euro e la confisca della nave, ma solo in caso di reiterazione del reato. La Ong cambia furbescamente comandante ad ogni missione, l'unico a venire indagato per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, proprio per non cadere in questa aggravante.

Nel frattempo la linea adottata da Sea watch è sempre la stessa della propaganda mediatica con fini politici della Libia «porto non sicuro». La graziosa Giorgia Linardi, portavoce della Ong estremista, racconta le terribili vessazioni subite dai migranti in Libia e la guerra senza quartiere a Tripoli. Però Linardi non racconta, che la vita nel centro della capitale scorre come sempre e si combatte solo in periferia a chilometri di distanza. A tal punto che venerdì, giornata di festa islamica, la spiaggia di Tripoli era zeppa di gente al mare, come dimostrano alcune foto. I centri di detenzione in prima linea coinvolti negli scontri sono stati evacuati. La verità è che la maggioranza dei 100mila migranti dispersi nel paese non si trova dietro le sbarre governative (solo 7mila). I migranti si incontrano nelle piazze di Tripoli e delle altre città, dove attendono gli ingaggi giornalieri dei libici solitamente nell'edilizia.

Nei centri governativi non mancano percosse e condizioni difficili, ma le torture o gli omicidi avvengono soprattutto nei centri illegali dei trafficanti di uomini, che i governi italiani combattono fin dai tempi del ministro dell'Interno Marco Minniti.

La campagna propagandistica pro migranti coinvolge anche Open arms, la nave dell'omonima Ong spagnola, invitata a Napoli dal sindaco, Luigi De Magistris, dal 16 al 22 giugno, per la settimana mondiale del rifugiato. Peccato che la stragrande maggioranza dei migranti provenienti dalla Libia non siano profughi in fuga dalla guerra, ma persone in cerca di una situazione economica migliore.

I talebani dell'accoglienza

anti Salvini hanno varato anche una mini flotta di barche a vela, la yacht_fleet, che ieri annunciava di «protestare in mare per più salvataggi». E si stava dirigendo verso Lampedusa forse per dare man forte a Sea watch.

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