Senato, primo sì alla riforma costituzionale

La riforma costituzionale incassa il primo sì. L'opposizone lascia l'Aula. Boschi: "Il lavoro che ci aspetta è ancora duro e complesso". Adesso il testo passerà alla Camera

Senato, primo sì alla riforma costituzionale

Bicameralismo paritario, Senato non elettivo e revisione del titolo V. La riforma costituzionale incassa il primo sì. L’Aula di Palazzo Madama ha approvato il ddl Boschi con 183 voti a favore, nessun contrario e quattro astenuti (tra cui la senatrice a vita Elena Cattaneo e il relatore Roberto Calderoli). Le opposizioni non hanno partecipato al voto, alcuni come Lega e Gal lasciando l’aula, mentre diversi senatori (anche dissidenti rispetto ai propri gruppi) sono rimasti ma astenendosi dal voto. "È solo un primo passaggio - ha commentato il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi - il lavoro che ci aspetta è ancora duro e complesso, ma è un passaggio fondamentale".

"Ci vorrà tempo, sarà difficile, ci saranno intoppi - ha commentato il premier Matteo Renzi su Twitter - ora nessuno potrà più fermare il cambiamento iniziato oggi". La prima lettura, delle quattro costituzionalmente previste, è cosa fatta e il Senato consegna oggi alla Camera il frutto di quasi quattro mesi di lavoro in commissione Affari costituzionali e un mese in assemblea il ddl che supera il bicameralismo paritario, "rivoluziona" il Senato, abolisce il Cnel e rivede il Titolo V. Nella riforma, che ha avuto come relatori Anna Finocchiaro (Pd) e il leghista Calderoli, spicca la trasformazione del Senato in una Camera delle autonomie: da 315 i senatori scendono a 100 (di cui fino a cinque nominati dal Capo dello Stato), di cui 74 consiglieri regionali e 21 sindaci non eletti alla carica di senatore dai cittadini ma dai consiglieri regionali. Non riceveranno indennità, ma avranno l’immunità parlamentare come i deputati. Il superamento del bicameralismo perfetto si sostanzia nel fatto che sarà solo la Camera la titolare del rapporto di fiducia con l’esecutivo e avrà la competenza della funzione legislativa, tranne che sulle leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di referendum popolare.

Il Senato avrà la competenza nelle materie non di competenza statale dell’articolo 117 della Costituzione, secondo le modifiche apportate con la riforma stessa. Un emendamento approvato a voto segreto ha inoltre specificato che il Senato è competente sulle questioni legati alla salute e alla bioetica. Palazzo Madama avrà voce in capitolo sulle leggi di bilancio, ma l’ultima parola spetterà alla Camera che a maggioranza semplice potrà superare le indicazioni dei senatori, che tuttavia vedono rafforzati i proprii poteri nelle modifiche alla legge di contabilità, che regola il contenuto della legge di bilancio, le norme volte ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito. I componenti di Palazzo Madama concorreranno nel parlamento in seduta comune (da cui spariscono i delegati regionali) ad eleggere il presidente della Repubblica: nei primi quattro scrutini serviranno i due terzi dei voti, nei successivi quattro i tre quinti, dal nono basterà la maggioranza assoluta. Il Senato resta escluso dalla deliberazione dello stato di guerra e dal conferimento al governo dei poteri necessari: il nuovo articolo 78 della Costituzione riserverà tale potere solo alla Camera.

È passato anche il doppio quorum per i referendum aborgativi: dovranno essere raccolte 500mila firme, e in tal caso il quorum per la validità resta quello della maggioranza assoluta del corpo elettorale, ma se le firme raccolte sono 800mila, per il quorum basterà la maggioranza dei votanti alle ultime elezioni politiche. Sul fronte della democrazia diretta, inoltre, sono stati introdotti i referendum propositivi, mentre per le leggi di iniziativa popolare serviranno 150mila firme, a fronte delle 50mila attualmente necessarie.

Con la riforma arriva la corsia preferenziale per i disegni di legge del governo, che avranno un iter prioritario escluse le materie di competenza anche del Senato, le leggi elettorali, di ratifica di trattati internazionali e le leggi per cui è prevista una maggioranza speciale, come quelle di contabilità pubblica e costituzionali. Sul fronte del contenimento della spesa, con le modifiche al Titolo V si introducono i costi standard nelle spese che competono agli enti locali, cioè indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza. Prevista inoltre la possibilità di commissariare regioni, comuni e città metropolitane in caso di default. C’è un limite agli stipendi degli amministratori regionali, (giunta, presidente e consiglieri), che sono stati legati a quelli dei sindaci dei comuni capoluogo di regione. Fissato il divieto di trasferimenti pubblici per i gruppi regionali. Ancora nelle disposizioni finali c’è l’integrazione tra il personale della Camera e del Senato, con la creazione del ruolo unico. Dei quindici componenti della Corte Costituzionale, cinque non saranno più eletti dal Parlamento in seduta comune, ma tre dalla Camera e due dal Senato. Fra le competenze della Consulta arriva l’eventuale giudizio preventivo di costituzionalità su ricorso motivato presentato da almeno un terzo dei componenti di una Camera, recante l’indicazione di specifici profili di incostituzionalità. La Corte costituzionale si pronuncia entro il termine di un mese e, fino ad allora, resta sospeso il termine per la promulgazione della legge.

In caso di dichiarazione di illegittimità costituzionale, la legge non può essere promulgata. Fra i punti meno controversi della riforma, l’abolizione del Cnel. L’intera riforma, infine, sarà sottoposta comunque a referendum confermativo.

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