"Siamo tutti sospesi, non sappiamo cosa succederà, che cosa faremo, è un’attesa infinita...". È lo sfogo di uno dei 677 dipendenti (96 consiglieri parlamentari, 32 stenografi, 128 segretari parlamentari, 259 coadiuvatori, 161 assistenti) del Senato della Repubblica che attendono di conoscere il proprio destino in caso di vittoria del "Sì" al referendum del 4 dicembre.
Molti di loro sono per il "No", sostengono gli esponenti della Lega Nord, secondo cui in diversi hanno fatto incetta dei braccialetti gialli distribuiti dal Carroccio. "Molti di loro sono stati coinvolti nella raccolta di firme per il Sì", dice invece un altro parlamentare dell’opposizione. "Una parte dell’amministrazione sta mettendo sabbia negli ingranaggi per non cambiare nulla", sostengono i renziani. "È chiaro che c’è una opposizione al cambiamento", aggiune un altro del Pd.
"Noi non prendiamo posizioni, ognuno però è libero di pensarla come vuole", afferma uno dei consiglieri parlamentari. "Questa riforma semplicemente non ci piace", aggiunge un giovane commesso. Un altro assistente parlamentare, invece, non vede l'ora che si facciano le modifiche: "Siamo diventati poco più di 150, ognuno di noi fa il doppio turno, non ce la facciamo più".
In effetti le ultime assunzioni sono state fatte nel 1998. Fino a qualche anno fa i dipendenti erano circa 1270, poi il taglio, tra prepensionamenti e blocco del turn over.
Cosa succederà se i senatori da 320 (315 più 5 senatori a vita) passeranno a 100? "È molto probabile che verrebbe dimezzata la struttura, ma per ora non c’è aria di smantellamento", si vocifera tra le stanze del Palazzo, "Non possiamo fare altro che aspettare". Poi ci sarebbe chi sceglierà di andare in pensione e chi passerà alla Camera, dal momento che la riforma istituisce "il ruolo unico dei dipendenti del Parlamento" e "uno statuto unico del personale".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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