Prima sentenza anti-bulli: 10 mesi a 4 "persecutori"

Pena confermata in Cassazione

Prima sentenza anti-bulli: 10 mesi a 4 "persecutori"

Una sentenza - come si dice sempre nei casi di pronunciamento della Cassazione - «destinata a fare giurisprudenza». Ma che, in questa occasione, speriamo contribuisca, anche a «fare» - almeno un po' - «paura». Facendo capire ai bulli (che saranno pure dei baby criminali, ma pur sempre dei criminali) come perseguitare un compagno più debole possa costare una dura condanna penale. È questo infatti il senso della conferma da parte della Suprema corte della condanna a 10 mesi di carcere inflitta in primo e secondo grado a quattro ex studenti responsabili «per lungo tempo» di una serie di «atti persecutori» ai danni di un loro compagno di scuola «talmente intimorito dalle botte che decise di trasferirsi dalla Campania al Piemonte». È la prima volta in Italia che la Cassazione «ratifica» un verdetto in questa delicata materia. Si tratta di una pena sospesa (come deciso già dai giudici minorili di Napoli) ma che tuttavia ha una forte valenza «simbolica» e - ci si augura - «educativa». La vicenda era emersa perché il loro compagno di scuola, che aveva sempre taciuto le violenze subite, fu costretto ad andare in ospedale per le lesioni subite a un occhio dopo l'ennesimo pestaggio. Le aggressioni e le molestie iniziate quando i cinque ragazzi aveva iniziato a frequentare lo stesso istituto professionale nel Casertano sono andate avanti per due anni. In un'occasione, uno dei giovani del branco filmò le violenze con il cellulare. Proprio quel video ha «corroborato solidamente» le dichiarazioni della vittima contribuendo a condannare Giuseppe Comparone, Antonio Faraone, Crescenzo Musto e Emiliano Raucci (oggi diventati tutti maggiorenni). La Quinta sezione della Cassazione ha ribadito anche quanto già affermato dalla Corte di Appello per i minorenni di Napoli che aveva sottolineato come in qualche modo un ruolo fosse stato giocato anche dalla scuola. I giudici citano infatti «il clima di connivenza e l'insipienza di quanti, dovendo vigilare sul funzionamento dell'istituzione, non si accorsero di nulla».

La situazione era senza via di uscita, ricordano i giudici citando un «brano estremamente significativo della deposizione» del ragazzo, il quale «ormai succube della violenza, dopo un iniziale tentativo di ribellione» aveva raccontato di dover «accettare condotte di sopraffazione per evitare altre botte». E per questo la Cassazione ha pure respinto «la tesi del carattere isolato di alcuni episodi».

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