Politica

"Senza una buona politica ogni società muore"

Nel saggio "Delle cose nuove. Oltre il globalismo e il sovranismo" Federico Iadicicco perora una ripartenza per la politica occidentale oltre le dicotomie di questi ultimi anni. E proprio di questi temi discutiamo oggi con lui

"Senza una buona politica ogni società muore" Esclusiva

Federico Iadicicco è un imprenditore, nato a Roma nel 1974, che ricopre il ruolo di presidente nazionale della Associazione per l’Industria ed il Terziario dal 2014, rieletto all’unanimità durante il II° Congresso nazionale 2020. Di recente ha scritto per "Historica" il saggio "Delle cose nuove. Oltre il globalismo e il sovranismo" in cui perora una ripartenza per la politica occidentale oltre le dicotomie di questi ultimi anni. E proprio di questi temi discutiamo oggi con lui.

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La dicotomia sovranismo-globalismo è apertamente superata a suo avviso. Non va sottovalutato il fatto che si tratta in larga parte di posizionamenti politici “importati” in Europa. Come reagire alla fine di questa dicotomia riportando in campo il meglio del portato ideologico e culturale del pensiero europeo?

“Rimettendo in campo la politica. Senza una buona politica ogni società muore. E questo non è mai stato considerato abbastanza nella dicotomia sovranismo-globalismo. La politica non è stata mai centrale nell’ideologia globalista, i cui fallimenti sono evidenti e sotto gli occhi di tutti; ma dall’altra parte la risposta ad esso non può essere un sovranismo declinato come nazionalismo di maniera, bisogna riscoprire la tradizione europea, cristiana e comunitaria. Rimettere al centro la politica significa fare ciò che né sovranisti né globalisti hanno considerato: rimettere al centro e dare potere ai corpi intermedi nelle comunità, famiglie in testa, rilanciandone il ruolo di propulsore della società".

Questo si può riflettere anche in campo di cambio di paradigmi economici?

“Assolutamente. L’economia di mercato potrà solo essere valorizzata da un processo che metta al centro la vocazione sociale e il ruolo delle relazioni umane al suo interno”.

Una visione che richiama molto al magistero cattolico: del resto da Paolo VI a Francesco, tutti i pontefici hanno sottolineato questo tema…

"Il magistero della Chiesa è importante nella misura in cui mette al centro la persona come membro di una comunità, offre una possibilità di guardare alla realtà oltre gli steccati delle ideologie del Novecento, permette di rileggere in base ai bisogni di oggi culture politiche stratificate. La Caritas in Veritate di Benedetto XVI, in particolar modo, è un capolavoro, un’enciclica che già nel 2009 guardava oltre la dialettica Stato-mercato per valorizzarli entrambi, unendo la competitività, la difesa del welfare, il ruolo dei corpi intermedi. Si passa in quest’ottica dal “Welfare State” gestito dall’alto a quelle che io nel libro chiamo “comunità del welfare” in cui sono corpi intermedi e organizzazioni sociali a prendersi cura dei cittadini aiutando su sanità, scuola, previdenza”.

Una forte applicazione del principio di sussidiarietà già caro a De Gasperi, insomma?

"Sì, del resto dottrina sociale della Chiesa e sussidiarietà in un’ottica virtuosa dovrebbero svilupparsi assieme".

In che misura questa visione valorizza la cittadinanza rispetto a sovranismo e globalismo?

"Nella dicotomia odierna si tende a vedere non un popolo, ma masse da condizionare o governare. In quest’ottica ogni individuo è valorizzato sia come individuo che come parte insostituibile di un corpo sociale più grande".

Ritiene che l’Europa sia lo spazio di riferimento per un’azione politica di questo tipo?

"Dalla pandemia alla guerra in Ucraina, sono emerse svolte come il debito mutualizzato e nuove prospettive. Penso all’esercito europeo e alla prospettiva di acquisti energetici comuni. Tutto ciò costruisce una struttura che chiama una nuova domanda di svolte politiche originali, un’accelerazione verso un nuovo modello di sviluppo, una nuova costruzione europea. Per limiti intrinseci si tende a rischiare di sprecare anche tale occasone. L’Europa dovrebbe fare un salto di livello politico, richiamare in campo il fatto che alla sovranità nazionale si può porre una limitazione non in cambio di trasferimenti a enti tecnocratici, ma solo in cambio di un rafforzamento del potere deliberativo dei popoli. Un esempio per una svolta di questo tipo che mi sento di proporre è l’impegno diretto dell’Europa a finanziare progetti strategici di interesse comunitario anche quando pertinenti al mercato interno di un singolo Stato".

Potrebbe fare un esempio di questo tipo?

"La costruzione del Ponte sullo Stretto: immaginiamola come un’opera decisiva non solo per l’Italia, ma anche per portare con maggior forza la Sicilia nel mercato europeo, dunque di pertinenza comunitaria".

Esiste un vuoto di leadership in Europa per realizzare progetti del genere?

"Sì, pensiamo ad esempio all’incompiuta di Angela Merkel, in perenne bilico tra interesse europeo e interesse tedesco, che comunque spicca rispetto a chi è arrivato dopo di lei. Non a caso dopo la sua uscita dal governo tedesco la guerra in Ucraina è esplosa".

Per ricostruire la politica e la leadership serve un rilancio del ruolo dei partiti?

"Sì. Ci troviamo di fronte a una crisi sostanziale della democrazia occidentale legata proprio al ruolo dei partiti politici. Essi devono tornare a formare classe dirigente ad ogni livello, risultando espressione della società e del suo pluralismo. Ma perché ciò accada dobbiamo far sì che ci sia un ritrovato impegno popolare e collettivo per l’esperienza politica, aggregando le energie dei corpi intermedi: la famiglia, i corpi sociali, il mondo produttivo. Solo così potremo affrontare con idee innovative i grandi problemi del presente, che sono estremamente politici. Dalla crisi economica alla demografia, serve un orizzonte capace di guardare al futuro ricostruendo la politica su nuove linee di pensiero.

Andando oltre dicotomie limitanti".

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