
Per ogni contagiato di coronavirus ufficiale ce ne sono altri dieci nascosti. Sbagliato quindi parlare di 69mila casi positivi come dicono i dati dei bollettini in base ai risultati dei tamponi. La cifra esatta sarebbe 690mila. Una proporzione che dà una dimensione nettamente diversa all'allarme, dicendoci, di fatto, che stiamo gestendo solo la punta dell'Iceberg del problema. A rendersi conto del peso della realtà sommersa sono sia il capo della protezione civile Angelo Borrelli, in base a «valutazioni empiriche», sia il direttore dei laboratori di microbiologia dell'Università di Padova Andrea Crisanti.
Ma chi sono i malati sommersi? Tra di loro ci sono gli asintomatici, che hanno veicolato il virus senza rendersene contro. Ci sono gli irresponsabili, che hanno viaggiato, sciato, ballato e di tutto di più fregandosene di appelli e divieti. E i non diagnosticati. Cioè quelli che si sono chiusi in casa (oltre 28mila) con sintomi più o meno forti ma che sono stati dimenticati là, senza tamponi e senza entrare a far parte dell'elenco ufficiale dei malati. Forse quella dei «tappati in casa» è la categoria più invisibile, spesso abbandonata a se stessa con l'unica raccomandazione di non uscire. Per loro niente diagnosi certa e assistenza sanitaria solo quando è possibile. In Regione Lombardia ci si è resi conto che questa fetta di malati sta diventando sempre più consistente e, pur non avendo intenzione di intensificare la quantità di tamponi (riservati solo ai casi gravi), si cerca di provvedere ai malati in casa con un monitoraggio più attento rispetto alle scorse settimane. Sia con una telefonata quotidiana per chiedere se il termometro denuncia qualche linea di febbre o no, sia con i saturimetri (100mila quelli appena acquistati), per capire se l'ossigenazione è sufficiente o se i livelli denunciano l'arrivo di una crisi di «fame d'aria» che, molto spesso, arriva velocemente facendo degenerare il quadro clinico in pochi minuti. Tuttavia a gestire tutto questo meccanismo si sorveglianza attiva sono i medici di famiglia, i primi a chiedere il tampone per se stessi ma a non riceverlo. La sorveglianza viene fatta anche dopo il ricovero in ospedale grazie agli specializzandi di medicina.
I numeri di chi è a casa malato sono così alti che diventa difficile assistere tutti. A Brescia, dalle case arriva a gran voce la richiesta dei malati: fateci il tampone. «Siamo molto concentrati sulla sanità ospedaliera ma tante persone oggi sono ammalate in casa, devono sapere cosa hanno e come sopravvivere» denuncia il vicesindaco di Brescia Laura Castelletti.
Tuttavia la Regione Lombardia non intende tornare sui suoi passi e, mentre il resto d'Italia punta su tamponi veloci e su tutti, l'assessore lombardo all'Welfare Giulio Gallera sostiene: «I tamponi? È più importante monitorare le condizioni di salute dei pazienti a casa e far trovare loro un letto in terapia intensiva quando ne hanno bisogno. Consolideremo la nostra azione seguendo questa linea». Le altre Regioni sono invece a caccia dei kit diagnostici rapidi.
E ora spunta anche il pre tampone in 15 minuti, realizzato per gli asintomatici o per chi ha sintomi lievi: per quelli insomma che non hanno i requisiti per eseguire il tampone ma rappresentano un rischio per la comunità. La Campania ne ha ordinato un milione di kit.