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"Sergiuzzo", il notabile Dc tutto grigiore e carriera

Mattarella ha fatto strada in politica tenendosi sempre lontano dalla ribalta. Schivo, freddo e quasi mai sorridente, è stato il padre della legge elettorale

"Sergiuzzo", il notabile Dc tutto grigiore e carriera

Roma - Quando due giorni or sono in Transatlantico s'è rivisto il passo caracollante dell'ottantasettenne Ciriaco De Mita, con codazzo ossequioso di giornalisti a braccetto, il pensiero non poteva che correre a Sergio Mattarella, Sergiuzzu dalle parti palermitane, e alle sue chance per il Quirinale. La ricomparsa del suo «padrino» politico le avvalorava e, al tempo stesso, voleva «marcare» il territorio. «Mattarella? È una brava persona», s'è limitato a dire don Ciriaco, tutto preso invece a rievocare il «metodo De Mita» che nell'85 condusse Cossiga sul Colle più alto al primo colpo.

Non sarà così per Sergiuzzo , classe '41, uno dei pochi in circolazione con i quattro quarti di cosiddetta «nobiltà Dc». Figlio di Bernardo, già membro della Costituente e pluriministro, ma soprattutto fratello di Piersanti, presidente della Regione Sicilia ucciso dalla mafia il giorno della Befana dell'80, davanti casa in via della Libertà a Palermo, praticamente sotto gli occhi di una domestica e di Sergio. Spiratogli tra le braccia in ospedale, fu la tragedia che cambiò il corso della vita dell'attuale giudice costituzionale. Di tradizione morotea, come padre e fratello, preso sotto l'ala protettiva dal segretario De Mita, che nell'83 lo portò in Parlamento, Mattarella non sarebbe mai sceso in campo: schivo e gelido di carattere, poco incline al sorriso e alla popolarità, si sarebbe volentieri dedicato alla docenza di diritto parlamentare palermitana.

Eppure il destino dell'uomo è quello di una parabola politica sbiadita, che procede per «strappi» dettati dalle circostanze e mai dipendenti dalla caratura di leader. Dopo l'assassinio di Piersanti (si disse commissionato dall'andreottiano Salvo Lima, senza che uscissero mai fuori esecutori e prove), il suo nome è rimasto indissolubilmente legato all'opera di mediazione svolta nel '93 per trovare la difficile quadra tra i risultati del referendum che aboliva le preferenze e le resistenze dei partiti ad accettare l'uninominale secco all'inglese. Ne uscì fuori l'ircocervo di una legge per tre quarti maggioritaria e per il 25 per cento proporzionale che il professor Sartori, per burla nei confronti del più modesto collega, ribattezzò in latinorum: da allora Sergio coincide con Mattarellum . Sobrio e prudente, tanto che lo stesso De Mita disse che «al confronto Forlani è un movimentista», il grigio professore non in grado di rompere il monopolio mediatico di Renzi si trovò per un altro paio di volte costretto a «strappare». Quando, nell'ultimo governo Fanfani, De Mita lo obbligò a dimettersi da ministro assieme ad altri quattro della sinistra Dc (Misasi, Martinazzoli, Francanzani e Mannino) in segno di protesta contro l'uso della fiducia sulla legge Mammì, che fotografava la situazione di duopolio tra Rai e Fininvest (l'avversaria storica di De Mita). E poi cinque anni dopo, nel '95, quando con Rosy Bindi capeggiò la rivolta contro il segretario Buttiglione (« El general golpista Roquito Buttiglione », la sua tagliente battuta), che voleva portare il Ppi all'alleanza con Berlusconi. Proponendosi d'incarnare fino in fondo ciò che restava dello spirito demitiano, in seguito definirà l'ingresso di Forza Italia nel Ppe «un incubo irrazionale», e ne sollecitò la fuoriuscita.

Ritiratosi per consunzione politica nel 2008, dopo esser stato più volte ministro sia nella prima che nella seconda Repubblica (da Goria fino a D'Alema e Amato), lo stile Mattarella si segnala come quello di chi avanza nel silenzio, intuendo sempre le strade migliori per non perdersi. Dopo un breve periodo al Csm dei giudici amministrativi, nel 2011 è stato eletto alla Consulta solo al quarto scrutinio e grazie al voto di Marianna Madia, spedita alla Camera due giorni dopo aver partorito (572 voti, uno più del quorum). Calzante l'anagramma del nome coniato da Bartezzaghi: «Mostrate allegria».

Perfetto per Renzi, non per l'Italia.

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