Roma - La tessera Numero Due di Forza Italia (la Numero Uno è ovviamente di Silvio Berlusconi) è la sua. Il programma con Fi debuttò, e con insperato successo alle elezioni del 1994 è pure in gran parte suo: «Ogni volta che mi veniva un'idea, la buttavo giù e la spedivo via fax a Berlusconi. E così, fax dopo fax, prese corpo uno dei più radicali programmi di riforme liberali che si siano mai visti in Europa», racconta Antonio Martino: economista, liberale, ministro degli Esteri nel primo governo Berlusconi, figlio di uno dei fondatori dell'Europa unita. E a sua volta tra i fondatori di Forza Italia.
Professor Martino, venticinque anni dopo la nascita di quel partito che bilancio fa?
«Guardando indietro ho avuto a volte il dubbio che avessimo mancato un'occasione, che non avessimo fatto tutto quel che avevamo promesso e che era necessario fare. Ma, riflettendoci, sono convinto che il bilancio sia in gran parte positivo, e che abbiamo scritto una pagina molto importante della storia politica italiana. A cominciare da una novità epocale».
Quale novità epocale?
«Per la prima volta dalla nascita della Repubblica, nel 94 abbiamo introdotto in Italia la possibilità di scegliere il governo tra due schieramenti alternativi. Prima di allora, per quasi cinquant'anni, la Dc e i suoi satelliti stavano al governo e il Pci faceva l'opposizione senza aver bisogno di creare una vera alternativa. Da allora il sistema cambiò, e noi vincemmo le elezioni con quel programma così radicalmente liberale che persino Marco Pannella fu d'accordo e lo appoggiò».
Molte parti di quel programma, però, non vennero realizzate. Perché?
«Perché si innescò una reazione fortissima dell'establishment. Faccio un solo esempio: la riforma delle pensioni che avevamo proposto nel 94 era una straordinaria riforma di sistema che avrebbe messo in sicurezza i conti a lungo termine. Ma scatenò il rigetto da parte del conservatorismo reazionario di destra e di sinistra, che riuscì a bloccare tutto. Poi ci furono anche le cause endogene...».
Quali?
«Una parte notevole di responsabilità per quelle mancate riforme la portano anche i nostri alleati di allora. Purtroppo gli elementi di proporzionale che erano ancora presenti nel sistema elettorale spingevano i vari partiti a differenziarsi, e a mettere i bastoni tra le ruote al governo».
Serve ancora, oggi, un partito di centrodestra liberale, come quella Forza Italia del 94?
«Servirebbe moltissimo. Ma temo che le condizioni e l'entusiasmo di allora siano difficilmente ripetibili. Riuscimmo a mobilitare un'infinità di gente che era rimasta fuori dalla politica e che non aveva bisogno di politica per vivere, ma che aveva voglia di cambiare in meglio l'Italia. Oggi invece il paese è più pauroso, immobilista, illiberale, meno reattivo».
Dell'attuale centrodestra cosa pensa?
«Sono molto preoccupato. Nell'atteggiamento di Salvini vedo non il desiderio di rafforzare l'alleanza, ma di romperla. Mi pare abbia preso un gran gusto per il potere: stare sempre in prima pagina e nei titoli della tv gli ha dato alla testa. La vanità è un sentimento umano... Per me comunque il successo di uno come Salvini resta un fenomeno inspiegabile: riesce a contraddirsi su tutto, a promettere senza realizzare, e a restare pacificamente seduto sulla propria poltrona. Ma può anche darsi che l'episodio grillino si sgonfi in fretta, e che Salvini capisca che senza un centrodestra solidale e non illiberale non va da nessuna parte».
Che consiglio darebbe al Cavaliere, in questo venticinquesimo anniversario?
«Non avrei più il coraggio di dargliene, e non ne ha neppure bisogno: uno che alla sua età, e con ogni possibilità di godersi liberamente la vita e i soldi che si è guadagnato, sceglie di
sacrificarsi per tornare in campo e rimettersi in gioco ha una forza indomabile. Vede i pericoli che sta correndo il suo Paese e sente il dovere di fare tutto quel che può per scongiurarli. Spero abbia ragione ancora una volta lui».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.