Guerra in Ucraina

"L'imperialismo cinese minaccia la nostra libertà"

L’ex premier Berlusconi analizza il conflitto: "Dopo gli accordi di Pratica di Mare non credevo fosse possibile un’involuzione così dannosa dei rapporti internazionali"

"L'imperialismo cinese minaccia la nostra libertà"

Presidente Berlusconi, qual è il suo giudizio sul conflitto in Ucraina?

«Sono profondamente addolorato. La guerra è sempre una tragedia, un dramma cui speravo non dover più assistere almeno in Europa. Ma in questo conflitto, che è una guerra di aggressione a un Paese sovrano, si stanno violando anche le regole e le convenzioni internazionali in vigore in tempo di guerra. La Russia nel suo stesso interesse dovrebbe perseguire i responsabili di violenze orrende contro la popolazione civile».

È ancora possibile trovare una soluzione diplomatica?

«Sono stato deluso da Putin. Non mi aspettavo un atto di aggressione così grave e poco responsabile. Tuttavia non credo che personalizzando il conflitto si faciliti una soluzione. Il nostro primo obbiettivo dev'essere far cessare questa strage insensata, nell'interesse dell'Europa, del mondo, del principio di umanità. Questo conflitto non può che concludersi con un compromesso e naturalmente non può essere accettato nessun compromesso che non tuteli la libertà e l'integrità dell'Ucraina».

La Russia si sta legando sempre più alla Cina. Come valuta questo scenario?

«È un rischio gravissimo, che io avevo fatto di tutto per evitare. La Cina sta sfruttando questa situazione per consolidare il suo ruolo. Non dobbiamo dimenticare che oggi la Russia si sta comportando da avversario, ma il vero competitore sistemico dell'Occidente è la Cina. La tradizione espansionistica dell'Impero Cinese unita al totalitarismo del sistema comunista è la più grande sfida politica, economica e militare al nostro modello di vita, di stato, di società libera e aperta».

Lei per primo ha lavorato duramente per avvicinare Stati Uniti e Russia. Cos'è cambiato dai tempi di Pratica di Mare?

«A quell'epoca avevo lavorato, con autorevoli avvalli dell'Amministrazione Usa, per un nuovo sistema di sicurezza europeo che includesse la Russia. In quel clima, grazie ai buoni rapporti personali che avevo con Bush e Putin, avevamo realizzato l'accordo NATO-Russia ponendo fine, anche simbolicamente, alla guerra fredda. L'accordo fu firmato proprio in Italia, a Pratica di Mare, in segno di apprezzamento per l'opera di mediazione del nostro governo. Vista a vent'anni di distanza, è stata un'opportunità mancata. I risultati ottenuti a Pratica di Mare sono stati progressivamente smantellati per colpa di errori commessi da molte parti. Già nel 2008, quando la nostra mediazione fu ancora efficace per bloccare l'invasione della Georgia, il clima era cambiato. Le cose poi sono peggiorate fino a questo punto. Non credevo fosse possibile un'involuzione così irresponsabile e dannosa dei rapporti internazionali».

C'è chi dice che, se Lei fosse stato ancora al governo, non saremmo in questa situazione. È solo una boutade?

«Con le ipotesi non si è mai fatta la storia. Il modo in cui ha operato in questa crisi il governo di cui facciamo parte è ineccepibile ed ha il nostro convinto consenso. Vorrei però chiarire una cosa: leggo su diversi giornali la notizia di colloqui telefonici che avrei avuto, o tentato di avere, con Putin sulla crisi ucraina. Sono notizie infondate. La situazione è serissima, è in gioco la libertà di un Paese, sono in discussione gli scenari geopolitici ed economici dei decenni a venire. La politica internazionale ha delle regole, non sono certo temi risolvibili con iniziative estemporanee o improvvisate».

Da questa guerra l'Europa esce più forte o più debole?

«Dipende: certamente più debole nell'immediato, perché la guerra innesca una spirale recessiva, legata all'aumento dei prezzi dell'energia e delle materie prime. Se non si interviene prontamente avrà effetti gravi sulla già difficile condizione delle nostre economie provate dal Covid. Ma se servirà, come spero, a far capire la necessità di una vera politica estera e di difesa comune, supportata da un comune strumento militare, allora forse l'Europa ne uscirà rafforzata. Lo chiedo da anni ma solo ora sta emergendo una consapevolezza comune. Spero non sia troppo tardi. L'Europa non è solo un'area di libero scambio, è un continente unito da valori comuni e da una comune visione liberale e cristiana dell'uomo e della società. Su questa base può essere un soggetto importante nella politica internazionale, in stretta alleanza con gli Usa».

Si può sostituire il gas russo in tempi brevi?

«In tempi brevi sfortunatamente no, soprattutto per Paesi come l'Italia che, con politiche miopi, hanno rinunciato al nucleare, bloccato i rigassificatori, ridotto al minimo la diversificazione delle fonti di energia. Cingolani ha parlato di 2/3 anni. È una previsione ragionevole, forse troppo ottimistica».

Cosa deve fare il governo per evitare che la guerra pesi sugli italiani?

«Dobbiamo evitare che si inneschi una spirale recessiva, che gli aumenti di energia e materie prime si scarichino sui consumatori. Né le famiglie né le imprese se lo possono permettere: significherebbe crollo dei consumi, chiusura o ridimensionamento di molte imprese, disoccupazione. Bisogna che il governo usi la leva fiscale per limitare l'effetto degli aumenti. Possiamo farlo perché l'Europa ci consente politiche di bilancio espansive. Il governo ha anche credibilità e autorevolezza in Europa per chiedere l'emissione di titoli europei per finanziare le risposte alla crisi come è avvenuto col Recovery Fund e chiedere alla Bce di continuare ad acquistare titoli di Stato per sostenere l'indebitamento dei Paesi e far circolare liquidità».

Il referendum sulla giustizia cambierà qualcosa?

«La riforma della Giustizia non può più aspettare. Le rivelazioni sul sistema Palamara hanno dimostrato anche ai più increduli quanto diciamo da anni: la questione giustizia è un'emergenza nazionale. Non vogliamo una riforma punitiva verso la magistratura ma una riforma, che valorizzi il lavoro dei magistrati seri e perbene ostaggio di gruppi di potere organizzati e ideologicamente orientati, e che restituisca ai cittadini le garanzie di una democrazia liberale. Lavoriamo in parlamento per questo. La riforma del governo contiene aspetti positivi ma può essere migliorata. È importante che i cittadini si possano pronunciare su un tema che li riguarda in modo diretto. Sono sicuro che non perderanno l'occasione di farlo».

La scorsa settimana si è tenuto il convegno di Forza Italia «L'Italia del futuro». Quale sarà il ruolo del partito per costruirla?

«La nostra manifestazione è stata un grande successo. Forza Italia c'è e ha grande entusiasmo e voglia di ripartire. I sondaggi ci danno in continua crescita. Abbiamo ascoltato le categorie produttive e garantito che le loro richieste sono le nostre. Il ruolo di Forza Italia è determinante: siamo gli unici coerenti portatori di idee e valori liberali, cristiani, europeisti, garantisti. La sola forza politica che fa sintesi di questi principi e li traduce in un programma per far ripartire l'Italia. Il futuro di questo Paese può essere un futuro splendido, se sarà un futuro liberale. Noi siamo al lavoro per questo».

Qual è il progetto del centrodestra?

«Tornare al governo del Paese, quando alle prossime elezioni si tornerà alla normale alternativa centrodestra-centrosinistra. Senza buttare al vento la buona esperienza del governo Draghi. Perché questo possa avvenire, la componente centrista liberale e cristiana che noi rappresentiamo nel centrodestra deve essere forte e determinante, non solo dal punto di vista dei numeri, ma da quello politico, perché solo con le nostre idee e i nostri contenuti l'Italia può andare avanti e essere credibile in Europa e nel mondo».

Quali sono i rapporti con gli alleati?

«Governiamo bene la maggior parte delle regioni e comuni importanti. Queste esperienze sono il modello di quanto faremo a livello nazionale. Mi rammarico che Meloni abbia rinunciato a far valere le idee di Fratelli d'Italia all'interno del governo.

È una scelta diversa che rispetto e che non ci impedirà di tornare a governare insieme. Quanto alla Lega, abbiamo identità e culture politiche distinte ma collaboriamo bene al governo e in Parlamento per caratterizzare l'operato della maggioranza sulla base delle nostre idee e dei nostri programmi».

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