"Servivo al bar, ma studiavo per vincere a Sanremo"

Il trapper Mahmood trionfatore a sorpresa: "Servivo caffè al bar, ma studiavo per vincere a Sanremo. Non mi sento italiano, lo sono. E ho già il nuovo disco pronto"

"Servivo al bar, ma studiavo per vincere a Sanremo"

dal nostro inviato a Sanremo

Poi uno dice la sorpresa. Mahmood, chi l'avrebbe detto: è passato da (quasi) zero a cento in poche settimane. A dicembre ha vinto il Sanremo dei Giovani e adesso quello dei Big, quello tradizionale, quello che cambia la carriera. Ed è pure diventato un simbolo perché Alessandro Mahmoud, in arte Mahmood con due o («Ma per gli amici sono soprattutto Ale»), classe 1992 e fisico minuto, è figlio di padre egiziano e di mamma sarda, è nato in Italia e vissuto nel popolare Gratosoglio a Milano. Per molti è già l'icona dell'integrazione. Per altri, la maggioranza, è semplicemente un italiano. Con Soldi, che ha un ritornello appiccicoso e tendenzialmente irresistibile, ha stravinto soprattutto nella giuria d'onore e nella sala stampa, risultando più basso nel televoto rispetto, a esempio, a Ultimo. E sabato era già il più trasmesso dalle radio. «Sono totalmente incredulo, per me era già un sogno esserci perciò non riesco a capacitarmi di avere addirittura vinto», spiega mentre viaggia a cento all'ora per Milano, obiettivo Che tempo che fa.

Allora, Mahmood, si sente un'icona o no?

«Mi sento soprattutto italiano, anzi solo italiano».

Ma crede che questo retropensiero le abbia portato più voti?

«In realtà spero proprio che non abbia avuto alcuna importanza. Io non sono passato per la politica, non c'è relazione ed è anche giusto così».

Quindi Mahmood chi è?

«Un ragazzo che è parte di una generazione mista. Sin da quando ero a scuola, i miei compagni di classe non erano soltanto italiani. C'erano cinesi, spagnoli, russi e via dicendo: Una miscela che per forza ha generato una nuova idea di convivenza. Ma la politica non c'entra».

Soldi non è un brano politico.

«Tutto è nato da un beat (un ritmo - ndr) che avevo trovato io a casa mia, poi abbiamo fatto la preproduzione con Dario Faini».

Un musicista compositore che si è anche fatto conoscere come Dardust e, su Spotify, vanta più streaming di tanti Big del Festival.

«Proprio lui. Infine con Charlie Charles, che è una delle figure più importanti della trap italiana, abbiamo completato il tutto. È stato un lavoro di squadra».

Mahmood, sa cosa colpisce molti che l'hanno votata? Lei ha 26 anni.

«A rotazione molti ce l'hanno, mica è così significativo».

Ma non hanno partecipato a X Factor e a Sanremo (tra i giovani nel 2016) senza lasciare traccia ma anche senza perdersi d'animo. Molti ventenni al primo stop mollano.

«Non mi sento di giudicare gli altri. Per me però la musica è sempre stata essenziale. Facevo il barista al mattino ma al pomeriggio andavo a lezione di pianoforte».

Caffè e cappuccini?

«Sì, al bar Top 11 in Piazza San Babila. Per tre anni. Capisco che ci si possa perdere per strada e lasciarsi scoraggiare. Ma a me non è successo».

Dal bancone all'Eurovision Song Contest di Tel Aviv, fino alla firma di brani da classifica come il singolo di Mengoni, Hola (I say). Mahmood vuol dire eclettismo.

«Preferisco esprimere passione».

Cos'ha detto sua mamma?

«E chi lo sa, l'ho vista di sfuggita sabato all'Ariston dopo la vittoria e poi sono scappato via. Magari dopo la chiamo. Mi sa che inizia un periodo vorticoso per me».

Tra poco esce il suo primo disco.

«In realtà è il mio primo disco fisico perché ho già pubblicato altri brani e un Ep, del quale il mio disco avrà lo stesso titolo, Gioventù bruciata».

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