Cronache

La settimana santa nella Terra Santa tra lacrime dai balconi e baci su Skype

Gerusalemme è aperta nei cuori ma le strade prima piene di gente sentono ora il gelo dell'assenza di cristiani e ebrei

La vista di Gerusalemme dall'alto
La vista di Gerusalemme dall'alto

Perché questa sera è diversa da tutte le altre? Quest'anno, mercoledì sera quando, come ogni anno, comincia la Pasqua ebraica con queste parole, ci verrà da piangere e da ridere insieme chiedendolo. E ci guarderemo in faccia; e certamente diremo l'uno all'altro «tutto». A tavola alla «grande» cena siederemo in pochi, pochissimi, distanziati, collegati su skype con le famiglie che avrebbero dovuto sedere con noi. Ma c'è poco da fare: questa è la Pasqua con Corona. Nella notte senza rumori di Gerusalemme, ognuno ripercorrerà sulla «Agadà» la via della libertà del popolo ebraico guidato da Mosè fuori dall'Egitto.

A Gerusalemme, siamo in tanti: per i cristiani la Settimana Santa è stravolta. Chiusi dentro il Santo Sepolcro, nella Città Vecchia, gli 11 frati che possono uscire solo quando il custode musulmano fa girare la chiave millenaria nel portone, sanno che fuori non li attenderà la solita folla che viene da tutto il mondo, ma un gruppetto sparuto di clerici autorizzati, fra cui l'arcivescovo Pierbattista Pizzaballa, che cerca di tenere aperto col cuore ciò che non può col corpo, niente processioni o messe di folla.

Povero Pizzaballa, è dalla peste del 1349 che il santo Sepolcro non veniva chiuso. È toccato a lui fronteggiare la pandemia. Le strade punteggiate dai negozietti arabi sono color pietra, niente cocci colorati, magliette, monili, arazzi ricamati. Gerusalemme è aperta nei cuori, ma le strade che sempre nei giorni di Pasqua, che quasi sempre coincidono, splendono, gridano, vendono, sentono il gelo dell'assenza di ebrei e cristiani, del vuoto, del silenzio, del pericolo del virus. La Via Crucis nei vicoli, la Città Vecchia ornata delle statuine che Papa Francesco ha voluto per segnare le stazioni, deve rinunciare alle folle, cattoliche adesso e fra una settimana greco ortodosse, che camminano cantando e pregando con croci di legno che ricordano la passione di Cristo. Le lacrime per Gesù sono rimandate, o sublimate.

Il Santo Sepolcro è stato visitato ieri da Pizzaballa, al quale è concesso di dire messa nel luogo sacro. Guardando la grande, strana chiesa costruita a pezzi piuttosto discordanti nei secoli, il solo desiderio che si prova è lo stesso che si sente nel centro, nel quartiere tedesco, a Talpiot, a Mea Shearim, Arnona, in tutta Gerusalemme: che torni il rumore, che viva la città delle meraviglie e dei millenni, la capitale d'Israele rinata, che i turisti fedeli cristiani infilino la mano nella fossa dove doveva stare la croce sul Golgota, che la pietra liscia della deposizione sia di nuovo un oggetto di carezze, che i preti cattolici e i greci fieri del loro potere, gli armeni, i copti, le 22 fedi cristiane che convivono in chiesa, ma che non si sono potuti accordare nemmeno nello spostare quella scaletta che da secoli sta ritta in bilico su un cornicione.

Il dispositivo del ministero della Salute vale per tutti anche se il patriarcato latino si batte per ottenere una degna celebrazione del Triduo Pasquale al Santo Sepolcro, e cerca di sostituire alla processione della Domenica delle Palme una distribuzione da parte dei parroci di rametti già benedetti e di acqua santa, e ha spostato, per esempio, la messa del giovedì santo a Pentecoste.

Gli ebrei puliscono incessantemente la capitale e curano i fiori di tutti in colori e profumi. La spazzatura è raddoppiata da quando tutti sono in casa, la polizia in moto va avanti e indietro e blocca i sospetti di essersi allontanati. Mascherine e guanti, che strano, non nascondono l'identità di nessuno. Se passa un amico sotto la finestra (le mie sono basse) ti sbracci contento, e urli «ciao come stai come va come te la cavi, come stanno i ragazzi...» La Pasqua ebraica è difficile piena di quesiti intellettuali, di significati, di ostacoli organizzativi. Gerusalemme sembra una dama viziata, sta là zitta, è invasa da una sabbia bianca e calda nel vento di Hamsin, non si trovano uova, ci sono molti gatti arancioni per la strada. Israele ha combattuto molto bene fino ad ora, essendo stata una dei primi Paesi che ha chiuso i voli; poi Netanyahu ha puntato sul senso di disciplina e di resistenza della popolazione per chiuderla in casa.

Unica effrazione seria, a Gerusalemme e a Tel Aviv le grandi comunità religiose che aspettano il Messia ad ogni minuto e che non fanno il servizio militare, per settimane hanno seguitato a andare, otto, dieci figli quanti sono, ad ammucchiarsi nelle scuole di Talmud e di Torah, a frequentare vicini vicini le sinagoghe e a portare il malanno in giro senza rendersene conto. Gerusalemme per questo ora ha uno spazio inviso e misterioso, i quartieri religiosi, ormai ridotti a più miti consigli da ordini tassativi per cui la polizia piantona i quartieri come Meah Shearim. Intanto, Gerusalemme religiosa ma anche quella semplicemente tradizionale, è presa nella frenetica pulizia domestica dal pane e da ogni cibo lievitato, ma la padrona di casa spesso è ritardata dalla presenza fitta in casa della famiglia che non si esce al lavoro e dei tanti bambini. Le strade di pietra, di fiori profumati, di pini neri, sono indifferenti, belli, sembrano un segnale che dice «ok, siete nella città santa, adesso cavatevela da soli». E Israele, abituata alla guerra, alla solidarietà a tutti i costi, a considerare i vecchi come monumenti alla memoria della Shoah e della costruzione dello Stato, compie giravolte, batte il naso, ma alla fine i giovani nell'esercito vengono a fare i prelievi, gli hotel con tante stelle vengono trasformati in case assistite per i vecchi. A Gerusalemme un numero telefonico, il 104, è solo per gli anziani, e dalle organizzazioni di quartiere chiamano tutti, dai 60 in su, per sapere se abbiamo bisogno di qualcosa. In generale qui in tutto abbiamo 49 morti e 177 in gravi condizioni, 8258 infettati, 477 guariti. Non c'è male.

La notte del «Seder» racconta come Moshe condusse gli ebrei fuori dall'Egitto verso la libertà e dette loro i Dieci Comandamenti, su cui si è costruito il mondo in cui viviamo. Ma chi legge l'Haggada vede che per arrivarci si sono attraversate persecuzioni, piaghe, stermini. A Gerusalemme, ciascuno nella sua casa, separati, gli ebrei almeno sanno che sono arrivati dove Moshe li conduceva. E i cristiani nel giorno di Pasqua, soffrono rinchiusi, ma almeno sanno che Cristo è risorto. A Gerusalemme.

Bel posto anche col Coronavirus.

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