La sfida di Ikea: trasformare i maldestri indiani in tuttofare

Il colosso svedese apre il suo primo negozio nel Paese in cui il fai-da-te (e le polpette) sono oggetti misteriosi

La sfida di Ikea: trasformare i maldestri indiani in tuttofare

Ikea versus India, la sfida del marketing globale sta per iniziare. Preparate i popcorn. Oppure i samosa. Il colosso svedese dell'arredamento apre infatti - dodici anni dopo il primo tentativo poi fallito - il suo primo negozio nel secondo Paese più popoloso del mondo, con i suoi milletrecento milioni di persone che finora hanno vissuto (presumibilimente benino) senza spignattare nelle cucine Krevsta e sbracarsi sui divani Klippan.

La sede scelta è Hyderabad, quarta città per popolazioni e capitale dell'hi-tech indiano. La data quella del 9 agosto, con venti giorni di ritardo rispetto a quella prevista del 19 luglio. Venti giorni di slittamento che sono serviti al management svedese per mettere a punto gli ultimi particolari di una conquista, quella dell'India, che appare particolarmente difficili per ragioni culturali, storiche, religiose. Ma vale la pena provarci: se gli indiani si innamoreranno come tutto il resto del mondo dei mobili e degli accessori gialloblù, Ikea aprirà molti altri negozi nel resto dell'India nei prossimi anni e conquisterà - si calcola - duecento milioni di nuovi clienti, per lo più appartenenti a quella classe media che fino a qualche tempo fa non esisteva nel subcontinente e che invece ora sta crescendo affamata di consumi. Come si dice caspita in svedese?

Il primo problema, però, è che gli indiani non hanno alcun talento per il fai-da-te, anche grazie alla storica disponibilità di manodopera a basso costo. Ma Ikea punta forte proprio sul fatto che sia l'acquirente a montarsi da sé lo scaffale, è questo che consente di tenere bassi i prezzi. Per questo motivo Ikea ha previsto una rete di «facilitatori»: tecnici che, grazie a un'apposita piattaforma online, assisteranno gli imbranati indiani nell'impresa di trasformare magicamente quella confezione piatta ricca di pannelli e brugole in un mobile in servizio permanente effettivo.

Poi c'è la questione prezzi: in India il costo della vita è bassissimo per gli standard europei (figuriamoci per quelli scandinavi). E Ikea ha dovuto prezzare oltre mille dei circa 7500 prodotti a meno di 200 rupie (pari a 2,60 euro) per attirare clienti.

Ma lo spread più ampio è quello tra lo swedish e l'indian way of life. Per questo i manager svedesi hanno visitato oltre mille appartamenti in tutta l'India e intervistato tantissimi indiani per comprenderne le abitudini. Scoprendo così che grande attenzione dovrà essere rivolta ai letti, dove gli indiani trascorrono gran parte del loro tempo, e che per questo essi amano duri. Che non è il caso di proporre articoli in pelle (molti animali sono sacri), che per i tessili Ikea dovrà rinunciare al proverbiale minimalismo nordico perché qui vanno i colori forti.

Che anche il ristorante dovrà adeguarsi: il 37 per cento della popolazione è vegetariana e anche i «carnivori» non mangiano bovino e maiale. Quindi niente polpette. O forse solo di pollo.

Sarà Ikea a svedesizzare l'India o l'India a orientalizzare Ikea? Probabilmente il dio denaro farà sì che si trovi una mediazione culturale. Ma la sfida è affascinante.

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