
La nuova frontiera del crimine è l'attacco alla nostra identità digitale. Ne ha parlato l'altro giorno con la giornalista Barbara Carfagna al Festival di Trento il capo della Polizia e direttore generale della Pubblica sicurezza Vittorio Pisani, secondo cui «prevenzione e sensibilizzazione dei cittadini sui rischi del mondo digitale» sono prerogative fondamentali per proteggere le nostre identità digitali e aiutare le forze di polizia a prevenire i reati più odiosi, diversi tra loro ma comuni nell'agire criminale: terrorismo, pedofilia e traffico di droga si commettono soprattutto via web. «Accanto al concetto di identità fisica esiste il concetto di identità digitale, che consente di identificare sia l'autore del reato che la usa, sia la vittima del reato, perché l'identità può essere trafugata, rubata o alterata», spiega. A disposizione della polizia giudiziaria ci sono una serie di strumentazioni che agevolano molto le attività investigative, ma servono «investimenti in formazione specifica» una serie di «percorsi di legalità nelle scuole» già avviati dalla Polizia per educare i giovani all'uso corretto dei social media e alla protezione della propria identità digitale, ma anche «maggiore collaborazione con le aziende del settore» e «un'armonizzazione normativa a livello europeo» per affrontare i reati transnazionali commessi nel mondo digitale, perché «è fondamentale che le forze dell'ordine di diversi paesi abbiano a disposizione strumenti investigativi simili per contrastare efficacemente il terrorismo, il traffico di droga e la pedopornografia». Ecco perché la Polizia di Stato ha creato un Innovation Hub per seguire l'evoluzione tecnologica e sviluppare strumenti idonei a contrastare i reati informatici.
In questi tre settori i criminali si avvalgono di giovani molto capaci. È una sfida per le forze di polizia, che devono saper stare al passo con l'evoluzione digitale anche se a volte non sempre è possibile. Il criminale è avvantaggiato perché gli investigatori devono trovare un equilibrio tra le esigenze di sicurezza e le esigenze di privacy sui dati criptati, che i criminali sfruttano per nascondere le proprie identità. La sicurezza deve prevalere sulla tutela della privacy o le esigenze investigative, soprattutto in caso di reati gravi, sono più importanti? Questa è la sfida lanciata da Pisani, che ha invocato una maggiore regolamentazione dei servizi digitali a livello europeo, un nuovo approccio nell'uso di nuovi strumenti investigativi e un continuo adattamento delle forze dell'ordine, combinando repressione, prevenzione e innovazione tecnologica per proteggere i cittadini nel mondo fisico e digitale.
È proprio la crittografia dei dati la sfida più significativa, poiché rende più difficile l'intercettazione e l'accesso alle comunicazioni utilizzate dai criminali. Per farlo serve «la collaborazione dei provider di servizi telematici, vale a dire fornitori di email, servizi cloud e app di messaggistica criptata», come Whatsapp o Telegram. Secondo il capo della Polizia, come per le compagnie telefoniche, bisognerebbe imporre loro «obblighi di conservazione dei dati, fornitura di informazioni alle autorità giudiziarie e servizi di intercettazione».
Uno dei temi più incandescenti è il riconoscimento facciale, considerato un'evoluzione delle tradizionali attività di appostamento e pedinamento. Contro chi sostiene che questo software violi la privacy Pisani propone di applicare un criterio di proporzionalità, limitandone l'uso a reati molto gravi come terrorismo e pedopornografia.
E qui si torna alla questione del bilanciamento tra diritti: la presunzione di innocenza e le esigenze di sicurezza pubblica. «È giusto pubblicare la foto di un truffatore o rapinatore arrestato?». Da questa risposta dipende la sicurezza del nostro Paese, da questi odiosi reati in particolare.