"Dobbiamo dare un segnale nettissimo: chiudere il centro sociale Askatasuna, è inevitabile".
Le parole del ministro Paolo Zangrillo, coordinatore di Forza Italia in Piemonte, intervistato da Gabriele Barberis per il Giornale, sono la conferma a quanto da tempo non solo la politica, ma anche le forze dell'ordine, stanche di essere il bersaglio mobile dei violenti, chiedono al Comune di Torino.
È in corso una evidente escalation di violenza da parte di Askatasuna, da anni motore delle piazze calde di Torino, ritenuto responsabile anche dell'assalto alla redazione della Stampa. Ma il Comune, invece di avanzare formale richiesta di sgombero, tira dritto con il progetto che legittima la presenza del centro sociale nel caseggiato comunale occupato da 29 anni con un patto di collaborazione che ha l'obiettivo di ristrutturare la palazzina inagibile dove, nonostante tutto, il centro sociale continua a svolgere le sue attività.
Il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, l'allarme l'ha lanciato, ha dichiarato che Askatasuna è "ormai un serio problema per la città di Torino" e che non è "più il tempo per comportamenti accondiscendenti e ambigui nei confronti di questi squadristi". Le parole dei due ministri, che si sommano a quelle del vicepremier Antonio Tajani che ne ha ulteriormente chiesto la chiusura, dovrebbero richiamare alla responsabilità il Comune che, invece, scarica le responsabilità sul Viminale.
"È improprio e strumentale creare un nesso di causa effetto tra un percorso civico pubblico e trasparente e comportamenti eversivi che nulla hanno a che fare con esso", si è difeso il sindaco di Torino, Stefano Lo Russo, durante il Consiglio comunale successivo all'assalto alla Stampa, sostenendo che "il patto riguarda esclusivamente la cura e la riattivazione pubblica di un immobile occupato illegalmente dal 1996". Un'occupazione che, però, non sembra essersi mai interrotta, come hanno di recente testimoniato anche le telecamere del programma "Far West" di Rai Tre, che sono riuscite a entrare nello stabile documentando la presenza di persone, di un letto e perfino di una moto, perché il suo proprietario teme che qualcuno gliela possa rubare all'esterno del caseggiato. Ma lo certificano anche le luci accese la sera e il via vai di gente, oltre che una notifica effettuata all'alba dagli uomini della Digos, che hanno trovato i destinatari presso l'indirizzo dello stabile comunale. Oltre a essere inagibile, quindi teoricamente aperto solo agli operai che dovrebbero effettuare i lavori di ristrutturazione, non dovrebbe essere occupato perché tra le condizioni del patto c'è la liberazione dello stabile: che però non sarebbe mai avvenuta. E davanti a chi chiede che Askatasuna venga sgomberata dal palazzo comunale, il sindaco Lo Russo resiste: "Ridurre tutto all'atto di sequestro dell'immobile significherebbe non comprendere la natura stessa del problema che richiede una strategia coordinata". Quindi si va avanti. "Il fatto che il sindaco, nonostante l'assalto alla Stampa, non abbia fatto un passo indietro e, anzi, abbia dichiarato in Consiglio comunale che l'accordo va avanti, lascia quello spazio di impunità per il quale questi facinorosi si sentono liberi di aggredire", ha dichiarato l'onorevole di Fratelli d'Italia Augusta Montaruli. Un concetto sposato anche da Maurizio Marrone, assessore regionale alle Politiche sociali, e promotore della legge regionale anti-Askatasuna, il quale ha ribadito che "gli antagonisti di Askatasuna hanno inasprito l'escalation di violenza politica perché con il patto del Comune in tasca pensano di essersi lasciati alle spalle il rischio di sgombero".
Ma, ha aggiunto, "non hanno capito che non ci fermeremo finché il loro covo non sarà chiuso per sempre e restituito davvero alla legalità". Il 17 febbraio è in programma un'udienza al Tar per discutere il ricorso dell'avvocatura regionale e di FdI all'operazione che sta portando avanti il Comune.