Lo show da sempre è anche propaganda

La vittoria dell'Ucraina all'Eurovision non ne varrà una militare, ma politica sì

Lo show da sempre è anche propaganda

La vittoria dell'Ucraina all'Eurovision non ne varrà una militare, ma politica sì. E che ciò sia avvenuto in Italia, nel paese Nato dall'opinione pubblica più filoputinista, è quasi una nemesi. E un ottimo segnale. Dimostra che la guerra della comunicazione l'ha già vinta Zelensky. C'è chi si è scandalizzato che il presidente ucraino abbia invitato a votare per il suo gruppo, che poi esso abbia vinto, e che gli ucraini abbiano festeggiato. Che leggerezza, che volgarità, sotto le bombe, per delle canzonette. E poi la musica non dovrebbe essere separata dalla politica e dalla guerra? Niente di più vero. Musica e propaganda sono sempre state intrecciate in guerra: vogliamo ricordare l'impegno di Arturo Toscanini, già allora uno dei massimi direttori del mondo, che durante la Grande guerra si recava in trincea a dirigere l'orchestra (ridotta) e si faceva pure applaudire dagli austriaci? Vogliamo ricordare, a proposito di canzoni, il ruolo che svolse, nella Londra bombardata dai tedeschi, una canzone come We'll meet again di Vera Lynn, citata anche da Churchill? E dagli anni Sessanta tutti i festival dei musicisti rock, contro la guerra del Vietnam, contro il nucleare, contro l'apartheid in Sud Africa, e poi dopo la caduta del Muro, e poi la tournée contro Bush jr e la guerra in Irak? Certo, i Kalush Orchestra, i vincitori, non valgono un capello di Bob Dylan e dei Clash e le canzoni dell'Eurocontest sono robetta: e però, mica ci sono più Ronald Reagan o Bettino Craxi, tocca accontentarsi. Poi la politicizzazione della musica iper leggera è cominciata molto tempo fa, basti pensare agli ultimi due decenni di Sanremo, quando si trasformò in un festival controBerlusconi. In che mondo vivono quelli che sono sorpresi o che fanno finta di esserlo? Che guerra e intrattenimento siano ormai orizzonti sovrapposti lo scrissero già Jean Baudrillard e Paul Virilio tra la guerra in Kuwait del 1991 e le Torri Gemelle. E allora non c'erano i social, che hanno accentuato il carattere di spettacolo quotidiano della guerra, in cui peraltro chiunque può illudersi di intervenire, se non di partecipare. Tanto che parlare di propaganda non ha più senso: servirebbe un nuovo vocabolo. Ma certo, questa cosa Zelensky la gestisce assai meglio di Putin.

Tanto il primo è smart, elastico, liquido, iper digitale, tanto il secondo è hard, pesante, rigido e analogico: con le sue infermiere che posano accanto ai carri armati, fotografie che ricordano il genere erotico trash del nostro cinema anni Settanta. Le canzoncine insulse non fanno vincere la guerra ma accendono il sentiment (senza la e finale): per tutto il resto, servono le armi vere, che bisogna continuare a inviare in Ucraina.

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