Si apre un altro caso Sea Watch E il Viminale chiude i porti

La Ong si rifiuta di portare i 52 migranti in Libia che aveva dato l'ok. Diffida preventiva del ministero

Questa volta i talebani dell'accoglienza di Sea watch si sono incastrati da soli. Non hanno voluto portare a Tripoli i 52 migranti raccolti ieri di fronte alla Libia, ma sono stati proprio loro a chiedere un porto di sbarco a tutti, compresi i libici. E una volta ricevuta risposta positiva dalla Libia hanno deciso di puntare su Lampedusa. Il Viminale ha reagito con «la diffida preventiva all'ingresso nelle acque territoriali» italiane. In pratica porti chiusi, come le altre volte, ma alla fine «aperti» dalla magistratura per sequestrare la nave lasciata andare dieci giorni dopo. Rivedremo un simile e beffardo copione?

Per di più nelle stesse ore il ministro dell'Interno, Matteo Salvini, e il premier maltese Joseph Muscat «hanno avuto una proficua conversazione telefonica con l'obiettivo di rafforzare la strategia comune sul terreno del contrasto del traffico di migranti e della prevenzione della perdita di vite umane nel Mediterraneo». Un comunicato congiunto ha sbarrato la strada alle ultime Ong, talebane dell'accoglienza, affermando che Muscat e Salvini «hanno condiviso l'esigenza di proseguire la collaborazione volta a sostenere le Autorità libiche per rafforzarne le capacità di soccorso in mare e di controllo delle frontiere».

Mercoledì alle 15.13, Carola Rackete, capitano tedesco della Sea watch 3, dopo avere imbarcato i migranti aveva inviato richiesta scritta: «Le persone soccorse hanno bisogno di venire trasferite in un posto sicuro. Rimango in attesa di indicazioni». I destinatari erano i centri di soccorso italiano, olandese e maltese, ma pure la Guardia costiera libica. I talebani dell'accoglienza erano convinti che Tripoli non rispondesse e invece hanno indicato, per la prima volta, proprio la capitale come punto di sbarco. «Riportare coattivamente le persone soccorse in un paese in guerra, farle imprigionare e torturare, è un crimine - ha risposto Sea watch - È vergognoso che l'Italia promuova queste atrocità e che i governi Ue ne siano complici». La risposta è arrivata dal ministro Salvini: «SeaWatch non vuole portarli in Libia? Allora spieghi perché ha chiesto a Tripoli un porto sicuro. Aveva il via libera allo sbarco, l'atteggiamento della SeaWatch sembra un vero e proprio sequestro di persona per motivi politici».

Al momento dell'offerta libica la nave si trovava a 69 miglia da Zarzis, in Tunisia, a 48 da Tripoli, a 124 da Lampedusa e a 176 da Malta. A metà pomeriggio di ieri l'imbarcazione, che batte bandiera olandese, ha puntato la prua verso nord in direzione dell'Italia. Il porto sicuro più vicino era quello tunisino.

Non solo: il comandante di Sea watch sosteneva che il gommone soccorso stava affondando e non aveva più carburante. Poi però la stessa Ong ha twittato una foto dell'intervento di una motovedetta della Guardia costiera libica. Si vede bene anche metà gommone con i tubolari gonfi, senza alcun problema di navigabilità. E si notano a bordo diverse taniche in plastica per il carburante. Questi gommoni, più piccoli e robusti, a differenza di quelli grigi cinesi, che non reggevano a lungo, sono in grado di arrivare fino alle nostre coste. La scorsa settimana un natante uguale ha raggiunto Lampedusa.

Per evitare furbescamente l'aggravante della reiterazione del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina i tedeschi cambiano ogni volta comandante, l'unico alla fine indagato, consapevoli che i sequestri durano poco.

Sea watch ha pure l'appoggio di due velivoli per individuare i migranti, Colibrì e Moonbird,

che negli ultimi tempi decollano da Lampedusa. Una beffa, come l'ultimo dissequestro della nave all'inizio di giugno nonostante ci fosse anche una telefonata sospetta dal territorio libico per individuare il taxi del mare.

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