
A disposizione dell'esercito fino a settant'anni: finora gli ufficiali svedesi posavano le armi nel giorno del quarantasettesimo compleanno, per il futuro una commissione governativa propone di posticipare l'età della pensione e di poter richiamare in servizio attivo gli ex ufficiali di carriera e di riserva fino all'età di 70 anni. In nessun altro Paese della Nato gli ufficiali presterebbero servizio così a lungo.
Se fino a qualche tempo fa il modello scandinavo veniva associato a scenari di pace e serenità, l'attacco russo all'Ucraina ha cambiato orizzonti e priorità in tema di sicurezza nazionale.
La rinuncia alla neutralità dopo oltre 200 anni con l'ingresso nella Nato è stata per la Svezia una svolta epocale. Ora il governo conservatore mette mano alla riorganizzazione dell'esercito, coadiuvato dal sostegno dell'opposizione.
Il nuovo corso in materia di difesa segna un cambiamento radicale. Dove un tempo la prudenza e la distanza dalle logiche dei blocchi militari costituivano la cifra distintiva della strategia svedese, oggi prende forma un'impostazione orientata alla deterrenza e alla prontezza. Si punta al rafforzamento interno delle forze armate. L'estensione dell'età massima per il richiamo degli ufficiali e l'abolizione della "regola dei dieci anni" per i coscritti il lasso di tempo entro il quale possono essere richiamati sono il simbolo di una società che sta metabolizzando la possibilità concreta del conflitto.
Il ministro della Difesa Pål Jonson ha definito i tempi attuali "difficili" e ha spostato l'attenzione dal rafforzamento dell'equipaggiamento militare alle risorse umane, cuore di un esercito pronto a difendere il territorio nazionale. La proposta di legge che dovrebbe attuare le raccomandazioni della commissione è prevista entro l'inizio del 2026.
Nel frattempo, il paese cerca di aumentare l'effettivo delle truppe, puntando a un incremento delle reclute annuali dagli attuali 8.000 a 12.000 entro il 2030. La soglia ambiziosa delle 100.000 unità operative entro cinque anni comporta una ridefinizione degli incentivi: la commissione ha proposto di raddoppiare la paga per i giovani in addestramento, sperando così di attrarre nuovi volontari.
Il sistema svedese resta uno dei più selettivi d'Europa: solo uno su dieci dei candidati viene effettivamente ammesso alla formazione, dopo rigorose valutazioni fisiche, psichiche e intellettive, secondo il principio della qualità. La domanda che incombe è se, con l'aumento della domanda, sarà possibile mantenere lo stesso livello di selezione.
A rendere ancora più urgente il potenziamento delle capacità difensive è la consapevolezza del ruolo geostrategico del Paese: pur non confinando direttamente con la Russia, la Svezia sarebbe tra i primi Stati coinvolti in un conflitto su vasta scala nel nord Europa. La posizione di transito per truppe Nato, il controllo dell'isola di Gotland e la vicinanza all'exclave russa di Kaliningrad impongono una presenza militare all'altezza. Senza dimenticare le crescenti tensioni nell'Artico, dove Mosca e Pechino rafforzano le rispettive presenze.
Accanto all'aspetto umano, si lavora anche su quello tecnologico: a giugno, il Parlamento ha approvato con il voto favorevole anche dell'opposizione socialdemocratica un ampio pacchetto per il riarmo che include nuovi droni, artiglieria, armi anti-nave e il rafforzamento della difesa aerea. La spesa militare salirà progressivamente dal 2,4% al 3,5% del Pil entro il 2030.
La ministra delle Finanze Elisabeth Svantesson ha motivato questo impegno con un'immagine volutamente forte: "Dobbiamo assicurarci che i nostri figli e nipoti non debbano imparare il russo". Parole che un anno fa sarebbero suonate eccessive. Ma che oggi appaiono come un monito realistico.