Si dimette anche Berdini e scoppia il caso Di Maio

L'assessore lascia. Polemica per la pubblicazione degli sms tra il deputato M5s e la Raggi su Marra

Si dimette anche Berdini e scoppia il caso Di Maio

È la carenza di legalità in Campidoglio che induce Paolo Berdini a presentare dimissioni «irrevocabili» da assessore all'Urbanistica. Lo stesso motivo che il primo settembre convinse allo stesso passo i 5 tecnici guidati dal capo di gabinetto Carla Raineri e dal superassessore al Bilancio Marcello Minenna.

Dopo lo scandalo delle sue dichiarazioni carpite da La Stampa Berdini spiega: «Mentre le periferie sprofondano nel degrado e aumenta l'emergenza abitativa, l'unica preoccupazione sembra lo Stadio della Roma». La Raggi replica asciutta: «Fa solo polemiche, noi andiamo avanti».

È l'ultimo colpo alla credibilità della giunta e del M5S. Che sono alle prese anche con la polemica sulle chat on le quali Luigi Di Maio avrebbe protetto il braccio destro della sindaca Raffaele Marra, arrestato a dicembre per corruzione. Lui nega, attacca i giornalisti «bugiardi» e chiede «le scuse dei direttori» che hanno pubblicato il suo sms del 10 agosto alla sindaca: «Quanto alle ragioni di Marra. Aspettiamo Pignatone (alla procura erano state chieste notizie il 5 agosto, ndr). Poi insieme allo staff decidete/decidiamo. Lui non si senta umiliato. È un servitore dello Stato. Sui miei il Movimento fa accertamenti ogni mese. L'importante è non trovare nulla». Beppe Grillo parla di «giornalismo killer» e Di Maio conferma che nell'incontro con l'allora vicecapo di gabinetto del 6 luglio voleva «cacciarlo», come ha detto domenica ad «In ½ ora» di Lucia Annunziata. Di Maio svela anche la prima parte della chat in cui diceva: «Penso che nel gabinetto non possa stare, perché ci eravamo accordati così».

Di fatto però Marra non solo rimase al suo posto ma divenne capo del Personale e fece promuovere il fratello Renato, con la sindaca ora accusata di falso e abuso d'ufficio. Sembra impossibile che la Raggi l'avesse vinta senza alcuna sponda nel M5S. Fu Di Maio la sponda? A favore di questa tesi ci sono testimonianze e messaggi di chi trattò con lui per allontanare Marra dal Comune e perse la partita. Se anche i primi di luglio Di Maio intendeva convincere la sindaca ad allontanare il suo fedelissimo troppo chiacchierato, come chiedeva il minidirettorio romano; se anche i primi di agosto, il vicepresidente della Camera prese ancora tempo in attesa delle notizie dei pm, che successe dopo? Il procuratore Pignatone conferma che il 12 agosto rispose che non risultava nulla su Marra. Nulla che non fosse «coperto da segreto investigativo», precisa. E infatti erano in corso le indagini per la casa di Scarpellini (di cui la stampa aveva scritto da tempo), che portarono Marra in galera. Di Maio sapeva bene delle ombre su di lui, del suo spadroneggiare fuori dalle regole con Salvatore Romeo, quello della nomina illegittima a dirigente con stipendio triplicato che ha procurato alla Raggi un'altra accusa di abuso d'ufficio. E la notte del 31 agosto fu il momento clou, in cui fece la sua scelta a favore della Raggi e dei suoi, scaricando i «tecnici» Raineri e Minenna. La fece come interlocutore della sindaca per il M5S e come capo di una delle fazioni in lotta («i miei», scrive nell'sms). Roberta Lombardi, Paola Taverna e Carla Ruocco, che osteggiavano Marra e Romeo, furono sconfitte. Quella notte la Raineri fu fatta fuori perché Marra voleva il suo posto e lei si opponeva alla nomina di Romeo. Dopo le dimissioni per il parere critico dell'Anac sul suo incarico chiamò Minenna, alle Canarie con la Ruocco e i due consultarono proprio Di Maio.

La risposta fu tale da indurre Minenna a seguire la Raineri, con i vertici di Ama e Atac, aprendo la grande crisi in Campidoglio. Il numero due del M5S si era schierato con la Raggi e i suoi fedelissimi, tutti e tre finiti indagati.

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