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"Siamo sull'orlo di un disastro sociale"

Il politologo: "Gli italiani sono stati molto disciplinati ma ora esiste un problema di tenuta. Il tempo è scaduto, c'è chi non ce la fa più"

"Siamo sull'orlo di un disastro sociale. Oggi i non garantiti sono i nuovi poveri"

In cauda venenum. Ricorre al latino Giovanni Orsina, politologo e direttore della School of Government della Luiss, per spiegare le manifestazioni sempre più rumorose di questi giorni: «Questo è il momento più difficile».

Professore, i ristoratori adesso alzano la voce e corrono a Roma a protestare. Che succede?

«Siamo in una fase delicatissima. Dopo un anno e passa di pandemia, l'uscita dall'incubo pare a portata di mano, sembra quasi di poterla afferrare e invece, ecco, tocca pazientare ancora. E allora chi ha un bar, una palestra o un negozio comincia a farsi sentire».

Se l'aspettava questo vento di ribellione?

«Dobbiamo dire che gli italiani in questi estenuanti quattordici mesi sono stati estremamente disciplinati. Adesso però qualcosa sta cambiando. C'è un problema di tenuta e qualcuno non ce la fa più. D'altra parte i ristori sono stati una goccia nel mare».

Ci si aspettava un cambiamento radicale con l'avvento di Draghi?

«Ma Draghi non ha la bacchetta magica, che altro potrebbe fare? La lotta al virus e la campagna vaccinale sono state impostate dal governo Conte, lui eredita una situazione già definita. Può chiamare il generale Figliuolo, può telefonare alle multinazionali che centellinano le dosi, può strigliare le regioni, ma non può compiere miracoli.

Insomma, come se ne esce?

«Mi lasci dire che non voglio nemmeno immaginare un autunno dentro questa incertezza logorante. Dobbiamo venirne fuori in fretta».

Ma come?

«L'estate ci ha dato una mano l'anno scorso, possiamo sperare che ci aiuti ancora. E intanto continueremo a vaccinare. Spero, voglio sperare che a settembre vedremo un'altra realtà o, se vogliamo, vedremo le cose con più ottimismo».

Intanto, le manifestazioni si susseguono. E in piazza non ci sono più gli operai, ma parte del ceto medio che sta sempre peggio.

«Siamo sull'orlo di un disastro sociale e sul bordo del cratere ci sono i negozianti, i commercianti, le partite Iva».

L'Italia è spaccata in due: garantiti contro non garantiti?

«Una volta l'impiegato pubblico e il negoziante stavano sotto lo stesso ombrello politico. In genere, quello della Dc».

Poi?

«Con Mani pulite, schematizzando, il primo è andato a sinistra, il secondo a destra. Si è aperta una frattura, mai più ricomposta, fra quelli che avevano uno stipendio sicuro, magari non elevatissimo, e gli altri liberi di guadagnare e magari pure di non battere qualche scontrino, ma esposti ai rischi e alle fluttuazioni del mercato».

Oggi questa divisione diventa un muro sempre più alto.

«I non garantiti sono almeno in parte i nuovi poveri che si radunano nelle piazze di Roma, bloccano le autostrade, accumulano rabbia e frustrazione».

Ma se la barriera che separa cresce sempre più?

«Il punto è correre con i vaccini senza giochi da illusionisti. Draghi ha perfettamente ragione quando sostiene di non voler creare false aspettative. Non è che si può riaprire tutto senza prima mettere in sicurezza il Paese. Però questo equilibrio precario deve trovare un punto d'approdo a breve».

Fra infiltrati, estremisti ed esasperati, c'è la possibilità che la protesta sfugga di mano?

«Con tutta franchezza non vedo leader capaci di guidare questi moti e di trasformarli in un movimento antisistema. Però il tempo è quasi scaduto, la gente non ne può più anche psicologicamente e all'orizzonte si profila un altro momento drammatico».

Quale?

«Quando arriverà, probabilmente in estate, il via libera ai licenziamenti l'Italia vivrà un'altra lacerazione del tessuto sociale. In cauda venenum.

Speriamo di svoltare al più presto».

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