Sicurezza colabrodo, poliziotti disarmati contro l'Isis

I jihadisti sono giovanissimi, addestrati e ansiosi di morire per la causa. E noi? Non abbiamo organici e strumenti. E le leggi tutelano i violenti

Sicurezza colabrodo, poliziotti disarmati contro l'Isis

Un ipotetico ma possibilissimo scontro tra un agente delle Forze dell'ordine italiano e un terrorista islamico ci vedrebbe sicuramente perdenti. A difenderci sarebbe un uomo che in media ha 45 anni, non ha una specifica preparazione nelle tecniche di tiro con la pistola, di tiro sotto stress, di tiro notturno con uso di torce, non è stato addestrato a sparare con un bersaglio in movimento, è carente nella formazione relativa alla difesa personale e nelle tecniche di movimento, forse dispone di un giubbotto anti-proiettile ma di una versione scaduta, così come non ha mai svolto lezioni di guida operativa che risulterebbe comunque ardua disponendo di un parco macchine che in media hanno 200mila chilometri e un terzo sono in riparazione perenne. Ma soprattutto non sarebbe in alcun modo motivato a sacrificare la propria vita per la Patria, considerando che, da un lato, percepisce in media uno stipendio di 1.350 euro e che dal 2010 subisce un blocco del tetto salariale che si traduce in una perdita mensile di 300 euro lordi, in aggiunta al blocco degli straordinari che ne fanno una persona frustrata e con una vita familiare spesso tesa e lacerata; dall'altro è costretto a prendere atto che né le istituzioni né la magistratura lo tutelano qualora nell'esercizio della propria attività, scontrandosi con varie realtà di criminalità interna, dovesse provocare lesioni o determinare la morte del criminale. In questo contesto, se ci mettiamo nei suoi panni, considerando che comunque non ha le capacità fisiche, professionali e strumentali, è del tutto comprensibile che il nostro agente delle Forze dell'ordine pervenga a questa conclusione: «Ma chi me lo fa fare!».

Sull'altro fronte abbiamo un nemico incarnato da un giovanotto sulla ventina, che si muove con estrema agilità, dotato delle armi da fuoco adatte a provocare la strage, ma la cui vera supremazia risiede nella sua determinazione al «martirio», cioè a morire – anche facendosi esplodere con una cintura imbottita che ha addosso - dopo aver ucciso il maggior numero possibile di «nemici dell'islam», pienamente appagato dalla ricompensa del Paradiso che Allah ha promesso a tutti coloro che uccidono e sono uccisi per la sua causa. Noi ci ritroveremmo comunque svantaggiati nello scontro con un nemico la cui massima aspirazione è la morte, mentre nella nostra natura e nella nostra cultura facciamo di tutto e di più per salvaguardare la vita. Ebbene la nostra vulnerabilità è ancor più accentuata considerando le lacune strutturali nel nostro sistema della sicurezza.

In una lettera inviata lo scorso 22 gennaio al capo del governo Renzi, il segretario generale del Sap (Sindacato autonomo di polizia) Gianni Tonelli, scrive senza giri di parole: «È doveroso informarla che il rafforzamento della vigilanza degli obiettivi sensibili e tutte le misure annunciate in alcune circolari del Viminale, inviate a Prefetture e Questure dal ministro Alfano e dal capo della polizia Pansa, non possono trovare concreta applicazione per via della mancanza di personale e soprattutto di un'adeguata preparazione delle donne e degli uomini in divisa». Ed ancora: «I corsi di controllo del territorio che oggi vengono svolti e che per altro, a causa dei tagli alle risorse, riescono ad essere organizzati soltanto per un decimo del personale interessato, non forniscono purtroppo adeguati strumenti ai poliziotti per affrontare in ambiente urbano e densamente popolato terroristi spietati, pronti ad immolarsi e dotati di armi pesanti». Tonelli chiede di porre fine all'emorragia degli organici, considerando che la sola polizia ha una carenza di personale pari a 18mila operatori che sale a 40mila unità tra tutte le Forze dell'ordine. Di bloccare la chiusura di 251 presidi della polizia di Stato, tra cui della polizia di frontiera, postale e stradale. Soprattutto di far svolgere un corso antiterrorismo a 12mila operatori che si occupano di sicurezza sul territorio. Si tratta di un corso di sei settimane con moduli operativi teorici e soprattutto pratici di altissimo livello dedicati alle armi e alle tecniche di tiro, agli esplosivi, alle tecniche operative, alla difesa personale, alla guida operativa e dalla difesa nucleare, biologica, chimica e radiologica, unitamente a conferenze specialistiche antiterrorismo. Il corso costerebbe sei milioni di euro. L'insieme del piano anti-terrorismo avrebbe un costo di 20 milioni per quest'anno, e 40 milioni a regime. Per ora gli unici che in Italia hanno le capacità professionali per contrastare i terroristi islamici sono in tutto 320 uomini dei Nocs (130) e dei Gis (190).

In queste condizioni l'Italia non è in grado di fare delle scelte ma si limita a subirle. Non ha le credenziali per affermarsi come uno Stato che si fa rispettare ma all'opposto si fa umiliare. Gli italiani lo devono sapere. E chi ci governa deve rispondere del proprio operato.

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