«L'intesa con l'Europa risolverà il problema migratorio» ne è convinto il ministro dell'Interno Marco Minniti. In poco più di tre mesi ha fatto quello che politici che hanno ricoperto il suo ruolo non hanno fatto in una legislatura. Il cambio di passo, da quando è al Viminale, si è notato. «Ho l'urgenza del fare - ci scherza su sorridendo - perché c'è un dato semplicissimo: io avverto il logoramento delle parole. Mi sono formato a una scuola di parole. Sono laureato in Filosofia e nel lungo tempo mi sono occupato di filologia classica, quindi le parole erano il mio elemento naturale, come il pesce nell'acqua. Penso che la cosa più importante per dimostrare di essere in sintonia con gli interessi del Paese sia quello di trasmettere il fare. Non ho mai parlato di una cosa che avrei fatto - dice ancora -, in questi tre mesi, ma ho sempre cercato di comunicare una cosa che avevo già fatto. Ecco il perché dell'urgenza del fare».
Ieri, con 145 voti favorevoli, è stato approvato il decreto sull'immigrazione che porta il suo nome. «È una legge molto importante - chiarisce Minniti - perché il fenomeno è epocale, lo è stato in passato e penso che lo sarà in futuro. Investe non solo l'Italia e l'Europa, ma il pianeta intero: c'è bisogno di un progetto complessivo, una strategia». E non può essere un piano pensato e giocato da soli, sottolinea il ministro: «Sappiamo che una parte della questione si gioca fuori dai confini nazionali. Per questo abbiamo stipulato il memorandum of understanding con la Libia. Riteniamo sia importante coinvolgere e impegnare sempre di più l'Europa, sapendo che noi nel 2016 abbiamo avuto un dato che nella freddezza dei numeri diceva chiaramente qual era la situazione». Rotta balcanica occidentale meno 86 per cento, rotta balcanica orientale meno 72 per cento, Mediterraneo centrale più 18 per cento.
«Dobbiamo creare le condizioni - prosegue il ministro - perché nessuno abbia più da partire, serve uno scenario di stabilità, raffreddando i conflitti costruendo le democrazie. Il flusso che passa attraverso il Mediterraneo centrale, nel 2016, era al 90 per cento dalla Libia e nei primi tre mesi di quest'anno è al 95 per cento». Che si aspetta il ministro dall'Europa? «L'Italia nel rapporto con la Libia fa un po' da apripista - tiene a dire -, ma è più forte se ha dietro l'Europa dal punto di vista del sostegno politico e finanziario, perché un progetto di liberazione della Libia dal gioco dei trafficanti di uomini ha bisogno di mettere in sicurezza i confini marittimi meridionali della Libia e costruire un'alternativa economico per quelle popolazioni».
La sua filosofia è chiara: «Se uno scappa da una guerra o una carestia penso che il mio Paese debba accoglierlo, dargli protezione e successivamente integrarlo. Se, invece, è al di fuori della legge deve essere rimpatriato».
Minniti pensa che «il Paese debba dare una risposta in tempi ragionevolmente certi a coloro che chiedono una protezione internazionale perché due anni sono troppi». Da qui il superamento delle lungaggini limitando i ricorsi a un solo grado di giudizio, il rafforzamento delle commissioni per l'asilo con 250 nuove assunzioni e l'istituzione di 26 sezioni di tribunali specializzati.
L'obiettivo è «ragionare di utilizzare strumenti della legge che sono i rimpatri forzati, ma anche i rimpatri volontari assistiti e poi dare la possibilità ai Comuni di utilizzare richiedenti asilo per lavori di pubblica utilità, volontari e non pagati, perché non c'è nessuna intenzione di fare un mercato di lavoro parallelo rispetto a quello italiano. L'obiettivo è procedere a un'accoglienza diffusa». Questo è il senso del patto fatto con i Comuni. «Dove ci siano persone - dice - che non hanno diritto a protezione internazionale e testimonino profili che vanno verso la radicalizzazione è giusto che, in attesa di rimpatriarli nei Paesi di provenienza, si costituiscano piccoli centri per rimpatri, più gestibili, uno per ogni regione, fuori dai centri urbani, vicini agli snodi dei trasporti in maniera tale da poter essere più facilmente trasportati fuori dai confini».
Ma la cultura di sinistra ha capito finalmente che sicurezza è libertà? «Ne sono profondamente convinto - chiarisce -. Sicurezza è libertà perché è del tutto evidente che non ci può essere un'idea di sicurezza se non è garantita la libertà individuale così come non c'è una vera libertà se non è garantita la sicurezza del vivere quotidiano».
L'umore della base del Pd emiliano però era chiaro, c'era chi alla festa de L'Unità diceva chiaro e tondo che
se un rapinatore entra in casa gli sparo alla testa. «È sbagliato - conclude - Proprio perché sicurezza è libertà, la sanzione contro la violazione della legge spetta allo Stato. Questa è la vera forza di una democrazia».
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