Quando un uomo politico parla così tanto, su così tante cose, è impossibile essere sempre d'accordo (ma anche sempre in disaccordo, per la verità). Ieri Matteo Salvini, a proposito della possibilità di revocare la scorta a Roberto Saviano, ha detto che «saranno le istituzioni competenti a valutare se corra qualche rischio, anche perché mi pare che passi molto tempo all'estero». Ora, è vero che Salvini non ha affatto detto che toglierà la scorta a Saviano, semmai che chi di dovere giudicherà in base a rischi e necessità. Però è vero che il tono della dichiarazione manifestava chiaramente non solo una dura critica alle prese di posizione dello scrittore sulla politica migratoria, ma anche uno sprezzo fuori luogo per la persona di Saviano. Ecco: come ben sanno i lettori, Il Giornale ha sempre dichiarato - in modi ora duri ora ironici - i propri dubbi sia sul valore dei libri di Saviano, sia sulle sue battaglie civili, sia sul suo essere assurto a guru della parte pensante migliore del Paese... Ma per una volta, questa volta, crediamo che l'antipatia personale di un ministro verso uno scrittore, e la loro distanza ideologica, non debba condizionare la sicurezza di un cittadino considerato a rischio. E forse serve ricordare quando, nel 2002, Marco Biagi fu assassinato da un commando delle Nuove Brigate Rosse pochi mesi dopo che il Ministero degli Interni gli aveva negato la scorta con la motivazione che «Non risultano minacce concrete». Forse - se e quando gli organismi delegati lo verificheranno - nel caso di Roberto Saviano non risulteranno davvero «minacce concrete». Forse ha ragione Matteo Salvini quando fa notare che in Italia ci sono quasi 600 persone sotto scorta che occupano circa 2000 uomini delle forze dell'ordine, numeri che non hanno uguali negli altri Paesi europei. Forse rispetto alla stucchevole provocazione di Salvini è ancora più insopportabile la difesa d'ufficio strumentale - in chiave antigovernativa - della sinistra di lotta e di opposizione: Boldrini, Grasso, Bersani, Speranza...
Forse è tutto vero. Ma siamo convinti che lo scontro ideologico debba fermarsi un passo prima della sicurezza di un uomo. E la vita (come le minacce di morte: e vale per una parte e per l'altra) non diventare mai un'arma politica.
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