Signore e signori... Signorini: "Così passo da Puccini a Belén"

Il giornalista, che ha una formazione classica e l'istinto per il gossip, svela i segreti dell'equilibrismo fra «alto» e «basso»

Signore e signori... Signorini: "Così passo da Puccini a Belén"

«Qualcuno sostiene che io mi occupi di cazzate. Ma allora, mettiamo le cose in chiaro: se volete che mi esprima su argomenti veri, profondi, eccomi, pronto, sono qua e vediamo chi dice o scrive cazzate». Signorini Alfonso sposta in avanti un oggetto sulla sua scrivania, come preparando lo scacco matto. Fatta la premessa si intuisce che sotto il vestito ci sia molto, anzi tutto. Ha capito, però, che quest'Italia, lentamente, inesorabilmente, stia andando alla deriva su una zattera affollata da ignoranti e superficiali. «Quello che io ho, invece, non è frutto di una lotteria, l'ho conquistato con lo studio, con l'impegno. Ma mi accorgo di essere un ufo, un extraterrestre. Ogni tanto me lo chiedo e fatico a trovare una risposta».

Come? Signorini Alfonso dirige un settimanale che si occupa di gossip e di questo vive. Va in televisione e partecipa alla qualunque di giochi fatui, tra parole, parolacce e marionette, eppure ha una valigia carica di testi e volumi, solidissimi studi.

Dove sta l'errore?

«È un interrogativo che mi viene posto puntualmente ma è facile la soluzione: la vita è fatta di emozioni, di passioni, io riesco a passare dalle cose più alte, alle bassezze più incredibili. Le filtro, ho gli anticorpi per difendermi, ho quei valori di base, culturali, spirituali, che mi permettono di frequentare mondi diversi. Mi diverto, restandone lontano».

Il mondo del pettegolezzo e quello dell'arte, lo scoop clamoroso e la ricerca impegnata, Belen e Cicerone, Corona e Puccini, la riflessione e gli strilli. Il mondo di Signorini viaggia su due velocità, il pilota conosce ogni itinerario, ha un suo navigatore esclusivo che non lo manda mai fuori strada, su tratturi imprevisti. In verità la televisione, nel senso dei reality, dei talk, finora non gli ha riservato la giusta illustrazione e collocazione. Non c'è traccia, se non rara e fugace in un circo superficiale e approssimativo, degli studi classici, dell'insegnamento delle lettere, greco e latino, delle frequentazioni, non certo e soltanto, di portinerie e condomini vocianti, ma di scuole, teatri e università. Alla tivvù questo non serve, non garba, al giornalismo anche: «Perché c'è un'ignoranza dilagante, in tutti i settori. E io, a cinquantaquattro anni, non mi sento ancora vecchio ma non sono più giovane e vedo attorno a me una generazione veloce, troppo veloce, che non approfondisce, non studia, compulsa freneticamente, sfoglia con una rapidità incredibile invece di soffermarsi nella lettura. In questo la funzione dei giornali è defunta».

Signorini direttore ha ricevuto offerte mille di andare altrove, a dirigere fogli, emittenti, aziende di comunicazione e non, roba seria e vera. Mai un quotidiano, non è roba sua anche perché Signorini direttore ammette e confessa di non leggere più i fogli giornalieri, non perché occupato in cose differenti ma proprio perché il quotidiano è già morto e sorpassato quando arriva in edicola, figuratevi su tavoli, tavole, banconi, scrivanie e affini. «Non ho traguardi, non mi pongo questo problema, mi permetto il lusso di poter scegliere. Non ho famiglia, non mi interessa sposarmi, avere un figlio, la mia famiglia è il lavoro, riesco a restare distaccato da quello che sto facendo. Il potere è scegliere e, come dicono i francesi, è meglio essere seguiti che seguire».

Pensieri chiarissimi anche se grigiastri, come il cielo là fuori che non concede romanticismi e viaggi di fantasia. Signorini, si sa, ama la musica, quella lirica, parla della Callas e di Di Stefano, di Corelli e Del Monaco e gli occhi si fanno lucidi e veri, più di quando provi a portarlo sulle cose comuni: «Sto cercando un tenore italiano, giovane, di personalità scenica e di timbro, anche se stonato ma che, con lo studio e la scuola, si possa sistemare, migliorare. Bene, non ne trovo uno, niente, nessuno, una corsa vana, inutile. Poi quando viaggio all'estero, in Europa, in Cina, scopro talenti nostrani e allora capisci dove sia l'errore».

La televisione, lo spettacolo, i dibattiti politici. Si torna allo scacco al re: «Un tempo, erano rari i programmi che si occupavano di politica, nonostante la presenza sul campo, di veri e grandi leader della discussione ideologica e il confronti tra i partiti era profondo. Oggi accade il contrario, troppa è la politica in tv, ad ogni ora, su qualunque canale, noiosa, ripetitiva, ma pochissime sono le figure di grande taglio politico».

Gaetano Afeltra suggeriva le quattro «esse» da seguire per acciuffare il pubblico dei lettori: salute, soldi, sesso e sangue. All'ultimo sostantivo, Signorini quasi si ritrae, con fastidio. Non se ne ha traccia nel suo settimanale Chi, nemmeno in altre parole e discorsi, semmai il sesso e i soldi, insieme con la salute, perché questo significa occuparsi dei fatti altrui che è poi la chiave di qualunque giorno e giornale: «Alla fine dobbiamo comunque fare i conti».

La televisione, dunque e ancora: «Non mi piace, non mi vedo e non mi rivedo. Mai. Perché non mi interessa. La televisione è vittima del tempo di trasmissione, questa è una violenza inaccettabile. Vive di una superficialità che è la superficialità del sistema, non puoi approfondire mai un concetto, un'opinione, non c'è il tempo appunto, chi conduce non ascolta, pone la domanda ma pensa ad altro, non aspetta nemmeno la risposta, le voci si accavallano. Si ha quasi paura di pensare. Il silenzio, a volte, è la migliore delle risposte».

Signorini ha fatto le sue scelte, silenziose: «Maria De Filippi che ha imparato da suo marito ad ascoltare, a fermarsi per capire. Di sicuro, la migliore. Poi amo l'intelligenza di Fiorello, leggera, l'ultimo spot natalizio, per una compagnia telefonica, mi ha spiazzato e confermato il giudizio, geniale. E poi Piero Chiambretti, maniacale sul lavoro, un sarto che cuce su misura il suo programma, un opificio unico, un vero artigiano della televisione, meticoloso, mai contento, passa dalla depressione all'entusiasmo. Un giorno, chissà, potremo fare insieme un programma, a due, una striscia quotidiana, senza ospiti, senza orpelli. Noi due e un pianoforte».

E poi? Poco, pochissimo, quasi il nulla: «Molti bluff, alcuni pensano di cavarsela con l'arroganza, la presunzione, una esibizione di cultura o di erudizione che, poi, al totale, risulta fragilissima». Fatto l'identikit, facile la soluzione.

Si va sul personale: «Quando ero giovane, vivevo le mie notti, tumultuose, facendo l'amore, oggi mi ritrovo, alle quattro di mattina, con gli occhi gonfi per Netflix, di cui sono dipendente. Non perdo una serie, sono da ricovero in una clinica di tossici».

Resta l'isola personale del tesoro, la musica e la scrittura. Cancellate il resto.

Non ci può essere altro per Signorini Alfonso, detto Alfonsina da chi ci scherza su e nemmeno conosce i grandi vecchi del suo passato, chessò un Marco Tullio Cicerone o il Giacomo Puccini. E si eccita con i Grandi Fratelli contemporanei.

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