Guerra in Ucraina

Il siluro di Prigozhin su Mosca "Siete prostitute, qui si muore"

Il video: "Wagner via da Bakhmut. il 10 maggio. Gerasimov e Shoigu vivono in ufficio, i figli della Russia si sacrificano"

Il siluro di Prigozhin su Mosca "Siete prostitute, qui si muore"

Tutto quello che dice deve essere filtrato con attenzione. Ma ogni volta che parla non lo fa a caso. Mai. Tutto si può dire di Evgenij Prigozhin tranne che non sia un personaggio poliedrico. Un po' assassino con tendenze da macellaio; un po' generale con ambizioni da politico. Almeno nelle intenzioni. Ambiguo, scaltro, senza scrupoli. Ma senza dubbio uno dei pochissimi in Russia che, nel bene e soprattutto nel male, dice quel vuole e quando vuole. Al punto da minacciare lo stato maggiore dell'esercito, imporre ultimatum e insidiarsi a suo piacimento nelle più alte sfere del Cremlino.

Questa volta lo ha fatto cancellando qualsiasi filtro. Con un video durissimo nei toni e macabro nelle immagini. In primo piano lui, che urla. Sullo sfondo, decine di cadaveri insanguinati. Suoi soldati della sua brigata di mercenari Wagner, uccisi al fronte a Bakhmut. Nel video la minaccia di lasciare la città assediata e insulti al ministro della Difesa Shoigu e al generale Gerasimov, accusati di non aiutare i suoi soldati con rifornimenti di armi e munizioni. «Voi feccia sedete lì nei vostri uffici costosi, siete delle puttane. I vostri figli si stanno tutti divertendo, registrando i loro piccoli video su YouTube. Se consegnaste la quota di munizioni richiesta ci sarebbe un quinto dei morti. Questi uomini sono venuti qui come volontari e stanno morendo perché tu possa ingrassare nei tuoi uffici di mogano. Anche questi sono padri di qualcuno. Sono figli di qualcuno. E quella feccia che non ci sta dando le munizioni si mangerà le budella all'inferno. Siamo a corto di munizioni per il 70%. Shoigu, Gerasimov, dove sono le munizioni? Guardateli, c...». Oggi, nella Russia di Putin, chiunque si azzardi anche solo a pensare un decimo di quanto detto da Prigozhin sarebbe passato per le armi. Oppure gli sarebbe servito un the arricchito da polonio o da chissà che altro. Invece lui tira dritto, continua, attacca frontalmente. E minaccia: «Il 10 maggio saremo costretti a ritirarci negli accampamenti arretrati a leccarsi le ferite. In assenza di munizioni, sono condannati a una morte insensata».

Minaccia fasulla o ultimatum reale, poco cambia. È un attacco frontale che l'oligarca, diventato straricco come presunto chef del Cremlino e organizzatore di eventi, indirizza a Mosca. Minando la credibilità dell'apparato bellico russo. Da una parte c'è la concretezza: senza armi e munizioni, non solo l'assedio di Bakhmut si concluderà ma finirà con un'altra cocente sconfitta per i russi, visto che l'onere dell'assalto è stato preso in carico dalla sola brigata Wagner. Ed oltre a essere una sconfitta strategica sarebbe una catastrofe a livello di immagine per chi sulla propaganda ha incentrato buona parte della propria strategia. Ma le sue parole sono anche un segnale a Putin. Cosa vuole? Potere, soldi, legittimazione? Un po' di tutto. Tanto che in un documento in 20 punti allegato ai video riscrive la storia del suo conflitto e della sua partecipazione. Prigozhin spiega che «le risorse offensive della Wagner sono terminate all'inizio di aprile» ma «dal 1 maggio burocrati pseudo militari ci hanno tagliato fuori da qualsiasi munizione di artiglieria». E aggiunge: «Chiunque abbia commenti critici, venga a Bakhmut, benvenuto, stai con le armi in mano al posto dei nostri compagni uccisi» e che «non dandoci proiettili stai privando il popolo russo della vittoria», concludendo però che «quando la Patria sarà in pericolo, di nuovo il popolo russo può contare su di noi», a far intendere che lui non vuole ritirarsi ma che è costretto. I cattivi, sono altri. Gli stessi che probabilmente vorrebbe scalzare. Non a caso dal Cremlino è arrivato un secco «no comment». Solo il leader ceceno Ramzan Kadyrov, altro personaggio per nulla raccomandabile, si è detto pronto a sostituire i Wagner con i suoi uomini in caso di ritiro. Ma la realtà è che mai come adesso la Russia è in difficoltà. E che Prigozhin sta diventando sempre più ingombrante. Il Cremlino è un bivio: legittimarlo e renderlo un eroe assecondandolo. O farlo fuori, rischiando però di perdere ulteriore terreno. In ogni caso, buona parte delle sorti delle sorti del conflitto passano da lui. Con la Russia appesa a un macellaio.

Che rimane tale, anche quando prova a vestirsi da statista.

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