Cronache

Silvia riabbraccia la famiglia. "Sto bene, anche mentalmente"

L'arrivo a Ciampino, il saluto con il premier Conte, poi interrogata dal pm: "Avevano promesso di non uccidermi"

Silvia riabbraccia la famiglia. "Sto bene, anche mentalmente"

Erano le 14.17 quando Silvia Romano è scesa dalla scaletta del Falcon proveniente da Mogadiscio all'aeroporto di Ciampino. A scortarla agenti dei servizi segreti in tuta nera e con il volto coperto.

L'incubo è terminato, ma le polemiche hanno già iniziato a innescarsi, soprattutto riguardo al pagamento del riscatto, confermato sia dal governo somalo sia dalle forze di polizia kenyote. Silvia ha salutato con la mano, indossando un chador verde, retaggio di una conversione fino a ieri solo sussurrata, ma confermata dalla stessa ragazza. «Mi sono convertita all'Islam, è stata una mia libera scelta», spiegando di essere stata trattata bene dai suoi sequestratori e di non aver subìto violenze nei 536 giorni di prigionia nelle mani dei jihadisti di Al Shabaab in Somalia. La cooperante ha anche riferito di non essere stata costretta al matrimonio, smentendo le voci che si erano diffuse nei mesi scorsi. Non ci sono invece al momento conferme o smentite riguardanti le voci circolate domenica pomeriggio sul presunto stato interessante della 24enne.

Una volta raggiunto l'hub di Ciampino, Silvia ha salutato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte toccandogli i gomiti, come imposto dalle regole anti-Covid, ha abbassato la mascherina mostrando un largo sorriso, per poi abbracciare i genitori e la sorella. «Grazie, sto bene, per fortuna, sto bene fisicamente e mentalmente e ora voglio solo stare tanto tempo con la mia famiglia e sono felicissima, dopo tanto è bello essere tornati», ha raccontato ai cronisti. Poco dopo i saluti la ragazza ha raggiunto la caserma dei Ros a Roma per essere ascoltata per 4 ore dagli inquirenti.

L'atto istruttorio è condotto dal pm Sergio Colaiocco, che sulla vicenda aveva aperto un'inchiesta per sequestro di persona a scopo di terrorismo, alla presenza degli ufficiali dell'antiterrorismo del Raggruppamento operativo speciale dell'Arma che hanno svolto le indagini. La cooperante milanese della ong Africa Milele era stata rapita il 20 novembre del 2018 in Kenya, nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri da Malindi. Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Roma e dai carabinieri del Ros, era tenuta prigioniera in Somalia da uomini vicini al gruppo jihadista Al Shabaab, l'organizzazione somala affiliata ad Al Qaida e considerata ostaggio politico. «Mi avevano assicurato che non sarei stata uccisa. E così è stato - ha messo a verbale - In questi mesi sono stata trasferita spesso e sempre in luoghi abitati, alla presenza degli stessi carcerieri. Mi hanno portato in varie case, mi rinchiudevano nelle stanze, ma mai da carcerata». Il trasferimento in Somalia è durato circa un mese: un viaggio in parte fatto in moto e in parte a piedi. Un racconto lucido, senza una lacrima, con una forza d'animo che ha stupito gli investigatori.

«C'era stata la prova in vita. Eravamo in dirittura finale da qualche mese, ma abbiamo mantenuto il massimo riserbo su queste notizie» ha spiegato il premier Conte. Una riservatezza che al momento riguarda anche cifre e modalità del pagamento del riscatto. La trattativa per la liberazione induce a credere che ci sia stato un autentico tira e molla tra il governo italiano e gli estremisti di Al Shabaab, risolto grazie alla mediazione di agenti turchi in Somalia. Come anticipato ieri proprio da Il Giornale, il rilascio sarebbe avvenuto dopo il pagamento di una cifra di poco inferiore ai 4 milioni. Notizia questa che arriva da ambienti vicini al ministro degli Esteri somalo Ahmed Isse Awad. Sul pagamento del riscatto è intervenuto anche James Mugera, comandante della polizia della contea di Kilifi, dove la 24enne volontaria era stata rapita: «Ci sono voluti giorni per trovare un'intesa economica; non è stato semplice». Mugera ha anche rivelato che Silvia sarebbe stata consegnata alle autorità italiane in Kenya, a Mombasa o Nairobi.

Poi, per questioni di sicurezza, è stato deciso lo scambio tra soldi e prigioniera nelle vicinanze della località di Gendershe, a una trentina di chilometri da Mogadiscio.

Commenti