Uno sfratto con effetto immediato che bloccherà l'attività di un gruppo di volontari della Protezione civile, quelli che nelle emergenze forniscono i ponti radio indispensabili alle comunicazioni e ai soccorsi. Dalla loro sede di Melendugno, vicino Lecce, i volontari dovranno andarsene su ordine del sindaco, notificato su carta intestata nei giorni scorsi ai responsabili del circolo. Motivo: non sono dei «no Tap». Ovvero si rifiutano di fare parte della galassia eterogenea che si batte contro il gasdotto Italia-Azerbaigian, non si mischiano al fronte di anarchici e di sindaci, di grillini e di Pd pentiti che da settimane cerca in ogni modo di fermare i lavori per il tubo sotto l'Adriatico. Nella sua lettera, il sindaco di Melendugno non accampa scuse, non si trincera dietro affitti non pagati o necessità di recuperare i locali. Con una certa brutalità, mette nero su bianco che solo chi condivide la battaglia contro il gasdotto ha diritto a utilizzare uno spazio pubblico. Fosse anche per la più nobile delle cause.
È l'ultima, surreale puntata della crociata no Tap in corso in Puglia. Una crociata dove il fronte «pacifico» viene ormai messo in seconda fila dai violenti: come nei giorni scorsi, quando cinquanta incappucciati hanno bloccato gli accessi al cantiere, dopo avere cosparso di chiodi a tre punte le strade di accesso. Sono anarchici e antagonisti in buona parte venuti da fuori, globe trotters della protesta che si spostano dall'alta velocità, all'Expo, ai vertici internazionali. Ma dietro di loro ci sono sindaci, parlamentari, politici locali di primo e secondo piano. E d'altronde alla causa no Tap ha dato di recente la sua benedizione anche Massimo D'Alema, candidato Leu nel collegio del Salento, che in passato si era invece speso esplicitamente a favore dell'opera.
Il sindaco che ha sfrattato i volontari della Protezione civile è uno dei più attivi nella protesta: si chiama Marco Potì, figlio del senatore socialista Damiano Potì. Il giovane Potì è sindaco a Melendugno, eletto come Pd poi scivolato - in nome della guerra alla Tap - fuori dal partito. Ai volontari, il sindaco rinfaccia di avere ricevuto persino sostegni economici per la loro attività dall'aborrito consorzio del gasdotto: «Tali contributi rappresentano per me personalmente e per l'Amministrazione che ho l'onore di guidare un fatto moralmente gravissimo, se si considera l'impegno, l'abnegazione e la passione civile con cui la nostra comunità si oppone al progetto». Il sindaco benignamente concede che «ciascuno possa avere la propria opinione» ma poi va giù con la clava: «la permanenza in un immobile comunale della sua Associazione non può più essere mantenuta, per una ragione di coerenza, correttezza ed eticità». Gli stessi locali, dice il sindaco, potranno andare a gruppi che non siano macchiati di appoggiare un'opera «assolutamente incompatibile con la nostra terra ed il nostro futuro». Mi auguravo che ve ne andaste spontaneamente, aggiunge Potì, «ma evidentemente lei non ha sentito la spinta etica a farlo». Morale: venti giorni per sloggiare.
Si tratta dello stesso sindaco, d'altronde, che ha limitato a sette ore al giorno i
permessi per il lavoro sul cantiere. Una fascia oraria che di fatto blocca qualunque avanzamento dell'opera: soprattutto se in quelle sette ore a bloccare i lavori ci pensano i chiodi, le pietre e le molotov degli «antagonisti».
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