Il sindaco leghista e le 500 firme. Resta qui Marcel il "clandestino"

Il senegalese doveva essere rimpatriato: decisivo il primo cittadino. "Aiuta in chiesa e gli anziani, si è integrato"

Il sindaco leghista e le 500 firme. Resta qui Marcel il "clandestino"

La burocrazia quando vuole riesce a essere comprensiva: così mercoledì prossimo Marcel non dovrà raccogliere le sue cose nella canonica di Castelbelforte - 3.300 anime, nella piana tra Mantova e Verona - e tornare in Senegal, come era ormai rassegnato a fare. Il «rimpatrio volontario» che aveva accettato tempo fa, e che volontario era per modo di dire, non verrà attuato il 31 luglio, come previsto. E forse non avverrà mai, dopo che l'intero paese si è mobilitato per il 41enne divenuto una presenza fissa in chiesa, in parrocchia, nelle case degli anziani.

«Suono le campane, canto nel coro e Castelberlforte è il mio paese», racconta Marcel, ancora un po' incredulo. A indossare le magliette «Io sono amico di Marcel», sono stati in tanti. Per lui si è speso anche il sindaco, Massimiliano Gazzani. E ieri arriva l'annuncio: battaglia vinta, Marcel (per ora) resta.

Eppure né la gente di Castelberlforte né il suo sindaco sono dei fan delle «porte aperte». Gazzani è un leghista puro e duro, uno che sui social mette i video di Matteo Salvini e se la prende con la «pagliacciata» delle magliette rosse, la campagna di solidarietà ai migranti. In tema di famiglia, la pensa semplice: «La mamma si chiama mamma e il papà si chiama papà».

Eppure è Gazzani a dare il parere ufficiale del Comune che sblocca la pratica per il rilascio del permesso a Marcel Ndiaye. La spiegazione è semplice: Ndiaye si è integrato. Il suo italiano è ancora stentato, non è come i suoi connazionali che più a nord, nelle valli delle fonderie, ormai parlano bresciano. Ma per gli abitanti di Castelbelforte è un amico, anzi di più: «Per noi è stato un dono», afferma uno degli animatori della raccolta di firme. E il parroco Alberto Ancelotti racconta: «Ha iniziato col venire a messa la domenica, poi a farsi vedere anche nei giorni feriali. Si è offerto di dare una mano, ha chiesto come poteva aiutarci. Da allora fa di tutto, lavora con le associazioni di volontariato, va con la Caritas a assistere gli anziani. È una presenza familiare».

Alle spalle, come spesso accade, ha una storia confusa: in Senegal ha moglie e figli, nel 2012 li lascia per andare in Francia a raggiungere il fratello e inseguire un ingaggio da calciatore, ma è troppo vecchio. Così arriva in Italia e approda in questo paesone tranquillo, orgoglio principale il risotto coi saltarel, ovvero i gamberetti del Mincio. Ma qui, spiegano a Castelbelforte, «è stato capace di tessere relazioni molto positive con le persone per la sua umanità e disponibilità, è una persona mite e solare». «La cittadinanza mi ha adottato - dice Marcel - tutti mi conoscono, mi spiacerebbe andare via».

Per anni Marcel per lo Stato italiano è rimasto un «senza volto», non si è mai presentato a chiedere permessi di soggiorno né status di rifugiato. Quando lo hanno identificato, ha firmato per il «rimpatrio volontario».

Ma ora a venire avviata per lui - senza trattamenti di favore né forzature della legge, sottolineano in questura - è la richiesta di protezione internazionale, che verrà vagliata dalla commissione a Brescia. Intanto, resta in riva al Mincio: a suonare le campane, aiutare i vecchi e mangiare i saltarel.

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