La sindrome auto-distruttiva della sinistra: candidare i giudici che poi la accoltellano

Da D'Alema e Bersani a Renzi e Zingaretti il masochismo si ripete: gli ex pm cooptati in politica li mollano. Ultimo caso Roberti, che paragona il Pd alla P2

La sindrome auto-distruttiva della sinistra: candidare i giudici che poi la accoltellano

C'è una sindrome auto-distruttiva che affligge la sinistra, e il Pd in particolare. Una sorta di masochistica coazione a ripetere, che la spinge ad inseguire, corteggiare, cooptare, proiettare ad altissime cariche e cingere di allori politici (e prebende) gli esponenti di una particolare categoria, per poi esserne regolarmente accoltellata alle spalle.

La categoria in questione è quella dei magistrati, con una voluttuosa predilezione per i magistrati dell'accusa. Che, a quanto pare, hanno un debole per la qualifica di «onorevole», ma una volta piazzatisi sullo scranno continuano a sentirsi addosso la toga da pm. Il caso Roberti è solo l'ultimo esempio: per imperscrutabili ragioni, l'ex procuratore nazionale antimafia è stato scelto da Zingaretti come capolista alle Europee. Lui accettò la sinecura: «È un grande onore che lo abbia fatto», si commosse il segretario. Tempo due settimane, e il neo europarlamentare si scaglia contro il partito che lo ha gentilmente eletto, paragonandolo en passant alla P2 e scaricandogli addosso tutta la colpa dello scandalo degli incarichi giudiziari che, in verità, investirebbe i suoi colleghi magistrati. Ma no, dice Roberti, la colpa è della politica, a cominciare dal Pd, che vuole influenzare la giustizia, e non certo delle correnti dei magistrati, che anzi - declama - si occupano della «elaborazione del pensiero della giustizia». Mica di posti e carriere.

Ma appunto, Roberti è solo l'ultimo di una lunga serie. La contiguità tra sinistra e toghe ha radici nella protogrillina «questione morale» di Berlinguer, ma è nel post Mani Pulite che raggiunge il parossismo. Il caso emblematico è quello di Tonino Di Pietro, fatto ministro da Prodi (che da pm aveva torchiato), poi candidato al Mugello da D'Alema, poi fondatore di Italia dei Valori con cui corse contro l'Ulivo, poi ricooptato da Prodi nell'Unione e rifatto ministro delle Infrastrutture. Una mina vagante in quel già scombiccherato governo: memorabili le sue risse con Mastella, gli attacchi a Napolitano, le manifestazioni di piazza contro provvedimenti del suo medesimo esecutivo. Eppure, nel 2012, Bersani riprese a corteggiarlo strenuamente per convincerlo ad allearsi con lui nella coalizione «Italia Bene Comune». Andò a finir male, come è noto.

Fu il medesimo Bersani a pescare ancora nel serbatoio del pool Mani Pulite quando ebbe la luminosa idea di inserire la famigerata «società civile» nel Cda della Rai, a occuparsi di nomine e cadreghe tv. Il pm Gherardo Colombo si prese il posto, e poi non solo votò quasi sempre contro le indicazioni del partito, non solo ne disconobbe il padrinaggio («Non sono in Rai grazie al Pd», e a chi quindi?) ma fece pure un numero a colori quando il medesimo Pd votò un presidente della Repubblica a lui sgradito (Napolitano, mentre a lui piaceva il Rodotà-tà-tà sponsorizzato dai grillini): «Domani mi iscrivo al Pd per poter stracciare la tessera», maramaldeggiò via Twitter. «Già che ci sei, straccia pure la poltrona che ti ha dato il Pd in Rai», replicò un suo sarcastico follower. Consiglio non seguito, naturalmente. E che dire dell'inneffabile Pietro Grasso, anche lui ex procuratore antimafia che il solito, lungimirante Bersani volle capolista nel 2013, e che poi - nel disastroso inizio di legislatura - si ritrovò miracolato alla presidenza del Senato, come esca per attirare voti grillini sul governo - mai nato - del segretario Pd. Partito che se lo ritrovò quasi sempre contro, nelle sue decisioni da presidente, fino a vederlo capeggiare la scissione insieme all'armata Brancaleone di «Liberi e uguali»: «Il Pd ha cambiato volto, tocca a noi tenere alti i valori della sinistra», annunciò. Non andò benissimo. Ma anche Matteo Renzi ha inciampato nella sindrome-pm: stava per fare ministro della Giustizia il procuratore calabrese Gratteri, che aveva accettato chiedendo «carta bianca», e fu fermato solo dal provvidenziale intervento di Napolitano. Gratteri ci rimase male: «Avrei voluto fare una rivoluzione». Invece niente, è rimasto a fare il magistrato, e si occupa di indagare esponenti Pd in quel di Calabria, elogiato dai grillini. E che dire di Michele Emiliano? Da pm indagava sui dalemiani, finché D'Alema non gli propose di fare il sindaco di Bari.

Diventò renziano con Renzi, ma quando non venne candidato alle Europee diventò ferocemente antirenziano, e iniziò ad inseguire il M5s: No Tap, No Ilva, No guerra alla Xylella. La Puglia è in macerie, il Pd pugliese è crollato ai minimi termini. Ma sono persino capaci di ricandidarlo, nel 2020.

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