Roma - Ha difeso la famiglia Ramelli che si era costituita parte civile al processo per la morte del giovane Sergio, militante missino ucciso a Milano nell'aprile del 1975. Prima ancora aveva assistito le famiglie di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola, militanti del Movimento sociale uccisi a Padova il 17 giugno del 1974 sotto i colpi delle Brigate Rosse. Ignazio La Russa, quindi, sia da giovane avvocato che da dirigente del Mmsi ha vissuto la triste parabola degli anni di piombo da testimone. Conosce bene la deriva violenta che può trasformare il dibattito politico in qualcosa di tragico quando nelle piazze si urlava «Uccidere un fascista non è reato». Ecco perché intervistarlo alla luce di quanto successo in questi giorni (da Macerata a Palermo).
Stiamo tornando nel pesante clima degli anni di piombo?
«Mi auguro di no perché le condizioni sono diverse. Questo, però, non toglie che il rischio di eccessi di violenza ci sia. Per fortuna ora manca una strategia della violenza come c'era allora».
Magari con un regista occulto.
«Si seguiva il dettato marxista che voleva imporre la dittatura del proletariato anche con la violenza. Dietro c'era l'Unione Sovietica che per tanto tempo ha foraggiato il terrorismo rosso».
Dicono che questa violenza è figlia anche della crescente paura di un ritorno del fascismo.
«Qualunque persona di buon senso sa che non c'è alcuna possibilità che avvenga. Lo ha ribadito pure il ministro dell'Interno Minniti. Persino i fondatori del Movimento sociale lo sapevano. Già nel 1946 coniarono lo slogan: Non rinnegare, non restaurare».
Però anche negli anni Settanta si demonizzava il fascismo. E poi dalle parole si è passati ai fatti.
«Ripeto: quel pericolo non si corre. C'è però una differenza con quel periodo. Oggi usano l'antifascismo come una sorta di coperta di Linus per coprire tutta la loro incapacità ad affrontare i problemi concreti di oggi. Allora invece si usava l'antifascismo militante per dare una giustificazione al compromesso storico voluto da Dc e Pci».
Oggi CasaPound e Forza Nuova sono visti come il virus del fascismo da bloccare sul nascere.
«Ma si tratta di partiti che si presentano alle elezioni! Partiti, dunque, che accettano il confronto democratico e che oltretutto non avranno grandi consensi. Semmai, pure contro la loro volontà, servono da alibi all'ondata di neo-antifascismo di maniera che provoca le violenze dei centri sociali. E questi sarebbero i rischi di un rigurgito fascista? Non scherziamo!»
Altra analogia con quegli anni è l'uso dell'espressione «mandante morale», usato da più parti dopo i fatti di Macerata.
«È una pratica odiosa sempre. Si ricorda quando nel 2013 l'immigrato ghanese Kabobo uccise a Milano tre persone a colpi di piccone? Nessuno si permise di dire che c'era un mandante morale perché si trattava di un criminale pazzo. Stesso discorso per i fatti di Macerata. La verità è che non bisogna colpire l'effetto, ma eliminare la causa sociale di quelle tragedie cui non è estraneo il fenomeno dell'immigrazione clandestina».
Una responsabilità può averla il dibattito politico, spesso urlato e sopra le righe.
«La politica deve sempre essere
un confronto civile. Ovvio. Noi di Fratelli d'Italia ci siamo dati questa regola: moderati nei toni ma intransigenti nei valori. Fin dagli anni di piombo ho cercato il confronto dialettico. Si figuri se non lo cerco ora».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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