Michele Serra è turbato. Il pensiero che il nome di Silvio Berlusconi possa aleggiare intorno al Quirinale lo fa stare scomodo, gli rovina la pace sull'amaca. Non è preoccupato per un Berlusconi presidente della Repubblica. È, sostiene, un'ipotesi impossibile. «Non accadrà mai, un po' perché perfino in Italia c'è un limite a tutto, un po' perché la salute e l'età non assecondano il progetto». Serra, insomma, si dichiara sereno. Allora perché stare lì a rimuginare? È che l'antiberlusconismo è una di quelle vecchie abitudini che ti accompagnano per una vita. Ti rassicurano, come una coperta, ti tengono al caldo, ti definiscono. Tu sei l'ombra del tuo nemico e così non ti perdi, non ti incammini in terre sconosciuti e sai sempre cosa dire al tuo pubblico. Tranquilli, non è cambiato nulla. È il modo migliore per invecchiare al fianco delle proprie certezze.
Il tempo però qualcosa smussa e almeno nello stile si finge la carezza. Serra è sorpreso dalla poca fantasia di Salvini e Meloni. Non avete qualcosa di nuovo? Non ci sono «alte personalità» digeribili anche dalla controparte politica? L'accusa è di non saper andare oltre Berlusconi. È vecchio? Cinque anni in meno di Napolitano quando accettò il suo secondo mandato. È sorpassato? No, perché resta uno dei cardini della maggioranza Draghi. È culturalmente europeista e atlantico e spinge più di tutti per il progetto riformista del governo. Non si perde nel gioco dei veti. Non si affanna nel rubabandiera. Serra, naturalmente, non si pone il problema di quello che accade dall'altra parte, dove le figure da spendere neppure si avvicinano al peso politico di Berlusconi. La speranza è ottenere un sì poco spontaneo da Mattarella o di bruciare Prodi in un altro inutile giro di giostra. Non è però questo il punto. Serra non ci crede ma un po' teme quello che considera inverosimile. La paura non è di tornare negli anni Novanta, ma di non rassegnarsi all'idea che Berlusconi non sia ancora fuori dai giochi. Il nemico resiste. Non lo si può ancora commiserare, che è il modo migliore per avere qualcuno da detestare, ma senza più considerarlo realmente una minaccia. Un Berlusconi al Quirinale risveglia l'indignazione e ti costringe a scendere dall'amaca. Troppa fatica. Basta lo sdegno contro Salvini e Meloni.
Berlusconi al Colle cambierebbe davvero gli equilibri politici. È il segno che la seconda repubblica è finita, perché togli dalla scena elettorale il protagonista di questa lunga stagione. Lo tiri via dalla competizione e lasci libero un capitale di voti da redistribuire. È una nuova scena, da costruire, da immaginare, dove anche la sinistra può fare i conti con ciò che è, con la propria identità, che da troppi decenni si è riconosciuta solo nel suo essere anti, uno specchio rovesciato.
Serra dice che il nome di Berlusconi è inopportuno e si aggrappa al Ruby ter. È un processo dove la vittima giura di non essere vittima. Non è sufficiente.
Piero Sansonetti, da sinistra e sul «Riformista», dice che ormai siamo alla caccia all'uomo. È una storia che va avanti dal dicembre 1994. «Non lo vogliono mollare. L'ordine è: prendetelo. Vivo o morto, come si diceva nel lontano West».
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