Il titolo della Stampa di Torino, pubblicato venerdì in prima pagina sopra l'articolo di Andrea Tornielli (del quale non posso dire male avendolo assunto negli anni Novanta al Giornale ), è la sintesi perfetta di quanto avviene oggi nella nostra società: «La sfida di Francesco alla povertà». Il testo spiega lucidamente le intenzioni pastorali del Papa: combattere a favore degli indigenti una battaglia contro un tipo di finanza (espressione del capitalismo) tendente a trasformare il denaro in divinità, concentrando la ricchezza in poche mani e lasciando gli ultimi nella miseria.
Un ragionamento semplice e addirittura condivisibile. Peccato che ogni sistema diverso da quello affermatosi in Occidente (e non solo) abbia fallito. Infatti, il comunismo è morto e la sinistra, compresa quella rosa, socialdemocratica, non gode di buona salute. L'economia guidata dai progressisti, lungi dal progredire, regredisce. Tutti i ricchi, inclusi quelli cattolici, si sforzano di rimanere tali e in fondo se ne infischiano dei miserabili, salvo donare qualche spicciolo a scopo benefico. I più munifici versano al parroco 5mila euro per restaurare il campanile e sperano, così, di essersi guadagnati un angolino in paradiso.
Guarda caso, i Paesi alla fame sono i meno industrializzati, i meno evoluti sotto il profilo capitalistico. Motivo: non dispongono di posti di lavoro, pertanto la gente campa male non avendo reddito sufficiente. In Italia si registra un fenomeno strano: ogni partito predica che la crescita economica è prioritaria e che è necessario incrementare l'occupazione. Giusto. Ma la politica è contraddittoria rispetto a questa esigenza. La sinistra e i sindacati sono persuasi che ogni cittadino debba avere uno stipendio mensile adeguato, però fanno di tutto affinché ciò non avvenga. Forse ignorano che soltanto le imprese possono assumere manodopera e, anziché agevolarne lo sviluppo, lo ostacolano imponendo tasse a dismisura e facendo di fatto - complice la burocrazia - la guerra agli imprenditori, accusandoli di essere pescecani per nulla inclini a riconoscere i diritti dei dipendenti.
Trattasi di cortocircuito. Le aziende in questo modo non si rilanciano e la disoccupazione galoppa incentivando la miseria che pure si vorrebbe azzerare. Un'inversione di tendenza è improbabile, stante la descritta situazione. E qui veniamo al punctum dolens . Papa Francesco ha ovviamente facoltà di manifestare le proprie alte opinioni. Egli è il capo della Chiesa e si rivolge - suppongo - ai fedeli con i discorsi che gli sembrano opportuni. Sorprende, tuttavia, che egli ottenga gli applausi più fragorosi dalla sinistra politica italiana, le cui origini storiche, come ha ricordato recentemente Giorgio Napolitano, sono comuniste.
Perché? Non ho risposte certe. Mi limito a osservare che se la sinistra è d'accordo col Pontefice c'è qualcosa che non va o nella sinistra o nel Pontefice. I due soggetti, dati i loro trascorsi e la loro tradizione, sono idealmente o ideologicamente inconciliabili. Altro cortocircuito. È una pura e semplice considerazione, priva di contenuti polemici, che esige però alcune riflessioni. Almeno una. Se la Chiesa si oppone ai matrimoni gay, alla fecondazione assistita, all'aborto e al divorzio - per citare alcuni esempi - è giudicata retrograda e censurabile; se, invece, si sbilancia attaccando la degenerazione del capitalismo, invocando una velleitaria spartizione delle risorse finalizzata a sostenere i più deboli, allora è illuminata e da seguire entusiasticamente.
Oddio. La sinistra italiana è facile agli innamoramenti insensati. Fu devota a Stalin in epoca (mica tanto) remota. Fu devota a Breznev. Si illuse fosse praticabile l'eurocomunismo di berlingueriana memoria. Cessò di adorare l'Unione Sovietica solo quando essa si dissolse senza suscitare rimpianti. Elevò a propria icona perfino Jovanotti in assenza d'altri. Appoggiò Romano Prodi, democristiano, ritenendolo una specie di messia. Si inchinò a Mario Monti nella convinzione fosse il salvatore della patria. Adesso finge di osteggiare Renzi, ma, in realtà non lo abbatte temendo di perdere poltrone. Si è inginocchiata alla Merkel allorché la cancelliera aprì le porte ai profughi siriani e, adesso che le ha richiuse in fretta, i leader del Pd sono rimasti sbigottiti e non sanno che fare.
Ci aspettiamo solo che presto essi la smettano di criticare Viktor Orbàn, primo ministro ungherese, e lo portino in trionfo perché ha sbarrato le frontiere
ai migranti, secondo il principio che se i confini esistono bisogna tenerne conto, altrimenti tanto vale eliminarli. Prima o poi questi sciocchi progressisti finiranno per portare in trionfo Salvini. Meglio tardi che mai.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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