A sinistra di Renzi c'è vita (e veleno)

La minoranza del partito è pronta alla vendetta contro il leader. La Bindi: «Ministre scelte perché giovani e belle»

A sinistra di Renzi c'è vita (e veleno)

RomaAlla sinistra di Renzi si affilano le armi e il premier sente puzza di vendetta. Nessuno esce troppo allo scoperto ma i segnali di un'ennesima guerra intestina al Pd ci sono tutti. Sebbene i sinistri assicurino lealtà al capo del governo, gli oppositori interni rialzano la testa e colpiscono in una sorta di beffardo Renzistaisereno . Tanti, troppi, i fronti aperti su cui si battaglierà nelle prossime settimane. Dalla segreteria del Pd al fiscal compact ; dalla legge elettorale alla riforma del Senato; dai tagli alla spesa pubblica passando per il job act : non c'è un solo nodo che la minoranza piddina non minacci di ingarbugliare ulteriormente. Renzi reagisce facendo spallucce e tirando una riga: di qui sto io con il popolo, di là tutti gli altri voi, ferri vecchi, con le corporazioni, le poltrone, le rendite di posizione. E il clima, anziché svelenirsi si arroventa. Dopo il duello con D'Alema, si inserisce nello stesso filone la rasoiata assestata dalla Bindi proprio ieri: «Penso che le ministre di questo governo siano state scelte non solo perché brave ma anche perché giovani e belle». E ancora: «Forse possono rifiutare qualche interviste sul personale e farne una in più sul merito del loro lavoro». Un cazzotto in mezzo ai denti alla Boschi così, tanto per gradire.

Ma è sul prossimo lavoro parlamentare che la minoranza si prepara a gettare sabbia negli ingranaggi renziani. Fassina rilancia l'emendamento sul pareggio di bilancio, la raccolta firme per cancellare il fiscal compact e una mozione sulle privatizzazioni per «usare i proventi eventuali per finanziare politiche industriali». Chiaramente dice che vuole aiutare il governo, di fatto lo strattona a sinistra: «Se la legge di stabilità persegue gli obiettivi indicati dal premier, ovvero i 20 miliardi di tagli alla spesa e un intervento sul mercato del lavoro per cancellare l'articolo 18, torniamo all'agenda Monti e quindi non funziona». Con lui ci sarebbero 54 parlamentari se non di più.

Sulle questioni sindacali, mentre Renzi avverte che non accetterà ricatti, parte il fuoco amico di Damiano: «Consiglierei al governo un pochino più di prudenza. Sarebbe opportuno fare un minimo di dialogo sociale, piuttosto che annunci a mezzo stampa». E avverte: «Cancellare l'articolo 18 è una richiesta demagogica e di pura propaganda. Un governo che dovesse annunciare la libertà di licenziamento si candiderebbe al suicidio politico».

Grillo lo sbeffeggia: «Presto l'ebetino sarà solo un ricordo»; e lo colpisce laddove lo colpiscono i suoi «amici» di partito. Le bordate arrivano da tutte le parti, anche su Italicum e riforma del Senato e chissenefrega del partito. «Anteporre l'unità del Pd? Sulla riforma costituzionale non l'ho fatto e non lo farò, perché ritengo ci siano delle questioni, come anche la legge elettorale, sulle quali è giusto avere libertà di espressione». Fronda in vista? Civati lo esclude ma qualcosa ammette: «Mi piacerebbe che ci fosse in Parlamento una sorta di collegamento fra chi è d'accordo su alcuni temi, una sorta di gruppo sovrapartitico in cui è possibile creare un'intesa pubblica e non al chiuso di una stanza, tra contraenti smaliziati».

Un po' la manovra auspicata da Pisapia: «Ci deve essere un'attenzione anche verso chi pur non ritrovandosi nel Pd è disposto ad appoggiare questa scommessa e che ci sia uno sguardo a sinistra e non solo al centrodestra. Diciamo qualcosa di sinistra. Facciamo qualcosa di sinistra». E il Pd scricchiola sempre più.

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