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Sinistra in trincea contro la riforma. Il Terzo polo apre: "Sindaco d'Italia". Ipotesi Bicamerale

"Alla fine, Giorgia Meloni tirerà dritto e farà come Renzi: presenterà la sua proposta di riforma, la farà votare dal Parlamento e via"

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«Alla fine, Giorgia Meloni tirerà dritto e farà come Renzi: presenterà la sua proposta di riforma, la farà votare dal Parlamento e via». Al termine della maratona di incontri con le opposizioni sul «tavolo delle riforme», è un dirigente del centrosinistra che ha partecipato ai faccia a faccia con la premier a tirare così le somme.

La speranza, sottaciuta, è che anche la conclusione sia analoga a quella del «caso Renzi»: riforma costituzionale approvata a maggioranza (sia pur con l'appoggio di una parte della minoranza), referendum e bocciatura finale da parte del diffidente popolo elettorale. Andrà così? È presto per dirlo: ieri tutti quelli che si sono seduti al tavolo di Giorgia Meloni hanno ricavato la stessa impressione. Ossia che la presidente del Consiglio ha ogni intenzione di preservare l'immagine del dialogo e della potenziale condivisione, ma che ha anche gioco facile nell'alimentare le divisioni innate dell'opposizione, e i numeri parlamentari per andare avanti comunque.

Ieri ha incassato la decisa apertura di merito dell'ex Terzo Polo, che - pur diviso - si è pronunciato a favore del premierato forte. E anche quella di metodo dei 5 Stelle, che riconoscono la «diagnosi» meloniana sul sistema che non funziona e sulla necessità di «rafforzare» il ruolo del capo del governo, e rilanciano la proposta (a suo tempo avanzata dalla premier) di una commissione bicamerale ad hoc. Su cui invece il Pd frena: «Non spetta a noi stabilire lo strumento».

«Nel colloquio lei non si è minimamente sbilanciata - racconta Benedetto Della Vedova, che guidava con Riccardo Magi la delegazione di +Europa - non ha detto che modello propone né che iter intende seguire. Si è limitata a chiedere a noi delle opposizioni che cosa faremmo se avessimo la maggioranza che non abbiamo. Furba». Il tutto accompagnato da sondaggi ad hoc (come quello proposto ieri da Porta a Porta) secondo cui la maggioranza relativa degli italiani è favorevole al modello «presidenzialista», qualsiasi cosa voglia dire.

Il centrosinistra si presenta in ordine sparso alle consultazioni della premier, anche se Schlein fa sapere di essersi sentita con Conte per preservare l'idea di un minimo di coordinamento. Ma il tabù del «no» all'elezione diretta viene subito infranto dal Terzo Polo: all'incontro con Meloni va Carlo Calenda, accompagnato da Maria Elena Boschi e dai capigruppo Raffaella Paita e Matteo Richetti. Ma Matteo Renzi ha già parlato in mattinata via intervista: «Non sono per il modello presidenzialista, ma faccio il tifo per Meloni sulle riforme», dice, «e sono per il sindaco d'Italia a palazzo Chigi: che il premier possa essere scelto dagli italiani e si scelga i ministri, potendo pure revocarli». Durante l'incontro con la premier, Calenda ha battibeccato sulla sfiducia costruttiva («Sarebbe in contraddizione con l'elezione diretta», gli ha obiettato Meloni) e sulla riforma della giustizia («La faremo, ma oggi parliamo di forma di governo», ha tagliato corto il premier davanti alle sollecitazioni del capo di Azione). Ma sul resto Calenda ha aperto: «Da noi nessun Aventino, sarebbe illogico e incoerente. La nostra linea rossa è il no all'elezione diretta del presidente della Repubblica, che deve restare figura di garanzia. Sul modello del sindaco d'Italia invece siamo favorevoli». Diversa la linea di Pd e M5s: dicono entrambi un fermo no alla elezione diretta del capo dello Stato o del governo.

Sul resto si vedrà.

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