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Dal "sistema Siracusa" al caso Palamara l'avvocato invischiato in tutte le inchieste

Varie procure lo hanno ascoltato ma i suoi racconti presentano spesso omissioni. Il suo legale smentisce: "Io non ho mai avuto i verbali diffusi"

Dal "sistema Siracusa" al caso Palamara l'avvocato invischiato in tutte le inchieste

Amara, come l'aria per la magistratura negli ultimi tempi. Il nome dell'avvocato siciliano che emerge da ogni indagine - Pietro Amara, appunto - è sintomatico del momento difficile per le toghe, ma i suoi legami non si limitano al potere giudiziario e coinvolgono, spesso, politici e imprenditori di rango. Amara è asceso agli onori delle cronache nel 2018 con l'inchiesta messinese sul «sistema Siracusa», quando venne arrestato con l'accusa di aver messo su un gruppo di potere che, tramite un pm di Siracusa, Giancarlo Longo (condannato a risarcire l'erario per 300mila euro per il danno d'immagine provocato alla magistratura, dopo aver patteggiato 5 anni per il «sistema»), gestiva a piacimento le indagini, favorendo in particolare gli imprenditori a lui vicini. A cadere in piedi è proprio Amara, che patteggia a Roma (3 anni) e a Messina (14 mesi) per chiudere la partita, scegliendo di «collaborare». Eppure a partita chiusa, appunto, salta fuori che l'Eni, mentre l'avvocato (che del colosso era «legale esterno», collaborando già dal 2002) era sotto indagine, gli avrebbe bonificato 80 milioni (tramite società intestate ad altri ma delle quali Amara sarebbe stato il dominus), proprio per favori giudiziari legati al «patto» col pm Longo, e diretti a «proteggere» l'Ad della multinazionale dell'energia Claudio Descalzi. Ma Amara finisce pure nell'affaire Palamara, perché salta fuori che l'ex presidente Anm gli avrebbe indirettamente fatto da informatore, raccogliendo notizie da pm di Roma e Messina sulle inchieste che riguardavano l'avvocato siciliano, girandole al suo sodale Fabrizio Centofanti che poi, secondo la procura di Perugia, le avrebbe riferite proprio ad Amara. Il cui zampino c'è anche nell'indagine romana a carico del presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi per induzione indebita: Amara avrebbe assunto nel 2017 un'amica del magistrato, Giada Giraldi, che gli era stata raccomandata dallo stesso Centofanti, su «suggerimento» proprio di Patroni Griffi. E secondo i pm, dietro all'induzione a non licenziarla arrivata ad Amara dal presidente del Consiglio di Stato ci sarebbe anche un contenzioso amministrativo su cui avrebbe dovuto decidere il collegio presieduto da Patroni Griffi e che vedeva una delle controparti «assistita» proprio da Amara. E tornando al «cliente» Eni, Amara va poi a parlarne, interrogato, anche a Milano, proprio per l'indagine sui depistaggi e sui falsi complotti contro la società per influenzare l'inchiesta Eni-Nigeria. E in quei verbali il «collaboratore» Amara dice di tutto e di più. Rivela di far parte di una loggia massonica, «Ungheria», della quale farebbero parte anche diversi magistrati anche importanti, come Sebastiano Ardita; sostiene che l'ex premier Conte (in carica al momento degli interrogatori) avrebbe ottenuto grazie a lui 400mila euro di consulenze dalla società Acqua Marcia nel 2012; parla di magistrati, facendo nomi e cognomi, che gli avrebbero chiesto una mano per ottenere incarichi e promozioni. Ma quei verbali pur se «secretati» non restano, come noto, affatto segreti, visto che finiscono consegnati dallo stesso pm Paolo Storari a Piercamillo Davigo, all'epoca ancora al Csm, e spediti poi al consigliere del Csm Nino Di Matteo in forma anonima, e sempre anonimamente anche a due quotidiani ai quali stando alla procura di Roma, che l'ha indagata e perquisita sarebbero stati mandati da Marcella Contrafatto, un'impiegata del Csm nella segreteria di Davigo che, interrogata, è rimasta in silenzio. Il legale di Amara, Salvino Mondello, nega di essere lui la fonte della fuga di notizie: «I verbali degli interrogatori dell'avvocato Piero Amara davanti ai pm milanesi sono secretati. Io non ne ho e non ne ho neanche mai chiesto copia proprio perché sono secretati».

Un pasticcio senza fine, in cui alle parole del dichiarante Amara - uno che sembra erogare verità a singhiozzo, come dimostrerebbero le «omissioni» già registrate in occasione dell'indagine sul Sistema Siracusa - replicano, smentendo, gli altri protagonisti tirati in ballo, da Conte a Patroni Griffi. Di certo gli ultimi, burrascosi anni di Amara, che all'Espresso, 3 anni fa, diceva di essere «solo un avvocato di provincia che ha avuto un po' di successo e che ora lobby oscure vogliono mettere in difficoltà», ha rilanciato un timore molto italiano.

Quello dell'ennesima «loggia» segreta.

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