Scossa ormai da settimane da affollatissime e rabbiose proteste dei suoi agricoltori contro le politiche del governo del nazionalista Narendra Modi, l'India entra nella lista dei Paesi che cercano (con successo) di imbavagliare i social per mettere sotto controllo i contestatori. Anche stavolta è Twitter a diventare suo malgrado protagonista: il governo indiano e in particolare il ministero dell'Elettronica e della Tecnologia dell'informazione - ha preteso e ottenuto che il social agisse contro circa 500 profili collegati alle proteste dei contadini. La motivazione è semplice nella sua brutalità: in India esiste una legge che consente al governo di agire contro i post e i contenuti dei social che rappresentano (a insindacabile giudizio del governo stesso) una minaccia per l'ordine pubblico.
Twitter afferma ora di essersi trovata, in bella sostanza, nella condizione di doversi barcamenare tra le pretese di un governo e il rispetto dei propri principii. Ha spiegato sul suo blog ufficiale di aver ricevuto una serie di perentorie richieste da parte del ministero indiano. In alcuni casi il social ha quindi proceduto a chiusure definitive degli account finiti nel mirino di New Delhi, in altri definiti da Twitter «di carattere emergenziale» si è limitato a sospensioni temporanee in attesa di ulteriori verifiche. Quelli che a giudizio degli esperti del social sono risultati compatibili con le leggi indiane, sono stati successivamente ripristinati.
Questa linea di condotta non è stata gradita dal governo Modi, che ha reagito inviando a Twitter un «avviso di non conformità». Non si tratta di un avvertimento bonario, anzi: i funzionari ritenuti responsabili di disobbedienza alle richieste del ministero rischiano nel caso migliore delle multe, e in quello peggiore addirittura pene detentive fino a sette anni. Twitter cerca di evitare che la disputa con New Delhi si aggravi, e conferma l'intenzione di «mantenere il dialogo con il governo indiano e di lavorare rispettosamente con esso». Ma la partita è complessa, e non viene giocata ad armi pari. Così, il social da una parte assicura di non aver colpito in alcun modo gli account di giornalisti, attivisti e politici, e questo per non violare il loro diritto fondamentale alla libertà di espressione, che la legge indiana garantisce (almeno a parole, perché come abbiamo visto esiste anche una legge che la limita in nome della garanzia dell'ordine pubblico). E dall'altra riduce la visibilità di hashtag con contenuti controversi, come quello che accusava esplicitamente Modi di «pianificare il genocidio degli agricoltori». In alcuni casi, poi, Twitter ha scelto di oscurare alcuni profili solo entro i confini dell'India, mantenendone la visibilità al di fuori.
Il braccio di ferro continuerà prevedibilmente a lungo, perché la sfida che il governo indiano affronta è di dimensioni colossali, come del resto quasi tutto ciò che accade in un Paese la cui popolazione si avvicina alla soglia impressionante di 1,3 miliardi di unità (il doppio dell'intera Europa). Si calcola che circa la metà di questa marea umana sia dedita all'agricoltura e viva in uno stato di progressivo impoverimento in aree rurali assai distanti, in tutti i sensi, dalla realtà delle megalopoli come Delhi o Mumbai.
Questa maggioranza di fatto è stata finora silenziosa, ma le riforme liberalizzatrici volute da Modi rischiano di rendere i contadini ostaggi degli investitori privati e hanno suscitato davanti ai loro occhi lo spettro della miseria: da qui le manifestazioni gigantesche e furiose che hanno spaventato la capitale e il spinto il premier a giocare la carta della censura.
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