Il sistema bancario italiano è semi-paralizzato dai crediti in sofferenza ed è così diventato un facile bersaglio per i falchi tedeschi della Bce non tanto perché famiglie e pmi non riescono a ripagare i prestiti ricevuti, ma perché a essere morose sono soprattutto le grandi imprese. A rielaborare i dati di Bankitalia è stata ieri la Cgia di Mestre, secondo cui l'81% delle sofferenze - un macigno da 186,7 miliardi complessivi - è appunto dovuto ai big della corporate Italia. Si tratta in particolare di quel 10% di grandi clienti che da solo ha assorbito l'80% dei finanziamenti per cassa concessi del sistema creditizio. I dati si fermano a settembre 2016, ma poco è cambiato negli ultimi mesi visto non esiste Paese europeo alle prese con uno stock di sofferenze paragonabili all'Italia. Allo stesso modo poco consola sapere che le nostre banche sono tra quelle che più hanno accantonato in Europa a copertura del loro problema, perché l'esito di tutto questo è stata la strozzatura ai nuovi prestiti: nell'ultimo anno (novembre 2016 sullo stesso mese del 2015) - attaccano gli artigiani di Mestre - gli impieghi alle imprese sono calati di 21,3 miliardi.
A sorprendere oltre al valore totale - su 186,7 miliardi di deteriorati, 131,2 sono riferiti a prestiti superiori a 500mila euro - è l'escalation del dissesto: i prestiti in sofferenza tra 1 e 2,5 milioni sono infatti raddoppiati tra settembre 2011 il 2016 (+107,2%), e ancora peggio è andato a quelli compresi tra 5 e 25 milioni (+138,3% a un totale di 42,8 miliardi) o ai maxi-affidamenti oltre i 25 milioni, che in 5 anni sono esplosi del 112,9% a 22,5 miliardi. «Soggetti, questi ultimi, di segmento alto che sicuramente non sono «piccoli commercianti, artigiani o autonomi», prosegue la Cgia. E che difficilmente possono essere stati decisi in autonomia dai cassieri in filiale senza avere un via libera dagli uffici centrali delle rispettive banche. Per contro, la quota di sofferenze causate dal primo 10% degli affidati è stata pari dell'81 per cento.
La denuncia della Cgia segue di poche settimane il salvataggio pubblico del Monte dei Paschi, facendo aumentare l'attenzione sull'identità dei grandi debitori insolventi delle banche semi-fallite: la proposta, avanzata dal presidente dell'Abi Antonio Patuelli, dovrebbe essere recepita in Senato come emendamento al Salva Risparmio. Lo stesso che sotto Natale ha messo a disposizione 20 miliardi di soldi pubblici per puntellare il sistema del credito, perché da sorreggere non c'è solo Mps (che costerà 8,8 miliardi, di cui 6,6 a carico dei contribuenti), ma bisogna finire di pagare il conto per Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti, rilevate da Ubi per un solo euro, e di CariFerrara. Senza contare la difficoltà in cui ancora versano Popolare Vicenza e Veneto Banca, salvate dal bail-in dal Fondo Atlante.
«Nel rapporto tra banche e imprese, quelle di grandi dimensioni hanno sempre fatto la parte del leone, mentre le piccole e le micro, ancorché più affidabili rispetto alle altre, continuano a avere un potere negoziale con gli istituti di credito pressoché nullo», conclude Paolo Zabeo, coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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