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"Solidarietà ai mafiosi...". Il delirio di Travaglio sulla "trattativa"

"Solidarietà ai mafiosi...". Il delirio di Travaglio sulla "trattativa"

Si mastica amaro. Soprattutto dalle parti di Travaglio. Il direttore del Fatto non ha certo digerito la sentenza che ha smontato (una volta e per tutte) la trattativa Stato-mafia su cui la pubblicistica travaglina ha costruito fortune negli ultimi anni. I giudici assolvendo Dell'Utri e i carabinieri del Ros hanno chiaramente espresso un concetto semplice: la trattativa è una balla. L'ipotesi che lo Stato si sceso a patti con Cosa Nostra per fermare la stagione delle stragi tra il '92 e il '93 è totalmente distaccata dalla realtà dei fatti e della corso storico degli eventi. Eppure Marco Travaglio non si rassegna. Nel suo editoriale sul Fatto di questa mattina prova a ribaltare la realtà della sentenza esprimendo addirittura solidarietà per i boss condannati. Leggere per credere: "Ricapitoliamo. Il boss Bagarella - a cui a questo punto va tutta la nostra solidarietà - si becca 27 anni di galera per aver minacciato a suon di bombe (insieme a Riina e Provenzano, prematuramente scomparsi) i governi Amato e Ciampi nel 1992-'93 e per aver tentato di minacciare pure il governo Berlusconi nel '94. Il medico mafioso Cinà - a cui a questo punto va la nostra solidarietà - si becca 12 anni per il suo ruolo di tramite e postino dei pizzini e dei papelli che si scambiavano Vito Ciancimino, imbeccato dai carabinieri del Ros Subranni, Mori e De Donno, e il duo Riina-Provenzano".

Poi, quando le sentenze non coincidono con quelle del tribunale travaglino allora ci si aggrappa alla "Legge del Dipende": "Sarà avvincente, fra tre mesi, leggere le motivazioni della Corte d'assise d'appello di Palermo. Ma lo sarebbe ancor più poter assistere alla loro stesura, cioè vedere i giudici che mettono nero su bianco questa trattativa asimmetrica con la Legge del Dipende: è reato solo per i mafiosi da un lato del tavolo e non per i carabinieri e i politici dall'altro: più che una trattativa, una commedia (anzi una tragedia) degli equivoci". Poi il pm Travaglio si lancia in una arringa (manco fosse in un'aula di tribunale) per ricapitolare ancora una volta i fatti secondo la sua narrazione infangando la verità storica dei fatti e puntando il dito contro il Cavaliere e gli uomini dello Stato. Poi usa come vate addirittura Totò Riina che avrebbe detto "sono loro che cercavano me (lo Stato, ndr), io non cercavo nessuno".

Sull'attendibilità delle parole del Capo dei Capi ci sono parecchi dubbi e perplessità. Parole pronunciate da chi non ha mai collaborato con la Giustizia ma che a quanto pare meritano di essere citate da Travaglio. Gli altri super-teste chiamati in questo processo del giorno dopo sulle colonne del fatto sono Massimo Ciancimino e Giovanni Brusca. Bastano questi due nomi per capire su cosa basa la sua arringa il pm Travaglio. Il finale è dedicato a una citazione di Sciascia che Travaglio usa per giustificare l'ennesima sconfitta sul fronte Trattativa: "Lo Stato non può processare se stesso". No, vogliamo aggiungere, soprattutto se l'accusa è basata su una balla smontata da anni di udienze e indagini.

Con buona pace di Travaglio.

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