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Il solito pretesto della Liberazione. Delirio in corteo tra insulti anti Usa e vessilli strappati

Urla, insulti e bandiere strappate. Chi cercasse la plastica negazione dei principi declamati il 25 aprile, sa dove trovarli

Il solito pretesto della Liberazione. Delirio in corteo tra insulti anti Usa e vessilli strappati

Urla, insulti e bandiere strappate. Chi cercasse la plastica negazione dei principi declamati il 25 aprile, sa dove trovarli.

La manifestazione di Milano, città simbolo della Liberazione, è l'evento clou della giornata. Il corteo è nutrito anche quest'anno. Si fa vedere anche la leader Pd Elly Schlein. Partecipano circa 100mila persone, lo attesta l'Anpi, e la gran parte dei manifestanti lo fa civilmente. Le retrovie del corteo, però, offrono la consueta collezione di autentici deliri ideologici. In piazza Oberdan raccolgono firme contro il sostegno all'Ucraina. Un passante li gela: «Io gliene manderei di più». La prima bandiera che si incontra è quella palestinese. Un centro sociale (occupante abusivo in piazza Stuparich) si presenta «come equipaggio di terra di una ong». Il giornale «Lotta comunista» viene distribuito a tutti gli angoli. «Torna la lotta di classe», si legge in un altro foglio. «Che fare», con falce e martello, titola sugli Usa che «dopo aver distrutto Iraq e Jugoslavia puntano alla Russia».

Giorgia Meloni viene rappresentata in posa «ducesca»: «Ieri contro il fascismo di Mussolini, oggi contro il neofascismo di Meloni» farnetica il cartello. Dopo quasi 20 anni, la novità è la definitiva, simbolica «vittoria» della Brigata ebraica, che ricorda la formazione sionista che prese parte alla Liberazione. «Siamo qui con i nostri fratelli iraniani e con gli ucraini» dice il direttore del Museo della Brigata Davide Romano. La Stella di David sfila orgogliosamente fra l'Anpi e i partiti, protetta dai City angels, e senza subire aggressioni. Lo nota anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Le mancate contestazioni segnano un punto a favore del lavoro di Berlusconi» spiega. Gli sparuti autonomi che si appostavano in piazza San Babila facendo notizia con sputi e contestazioni, in effetti, non si fanno vedere.

La coda del corteo, però, è un tumultuoso campionario di animosità. Intorno alle 14, in corso Venezia, dei giovani con le bandiere Usa vengono presi a male parole. «Fuori la Nato dal corteo». Le intenzioni con cui scendono in piazza gruppetti e centri sociali è il contrario della riconciliazione sognata nel '45, e tradisce la stessa idea di libertà. «Ci spostiamo all'angolo con via Boschetti, a Palestro è pericoloso» è il passaparola fra gli amici di Israele. Anche militanti di Terzo polo e Più Europa si sentono minacciati. «Ci volevano menare». Sfilano l'Istituto liberale, e il «Ponte atlantico» col simbolo della Nato. Ci sono le bandiere degli Alleati e i Radicali che invocano la Corte penale per Putin.

La tensione è palpabile. Per tanti il 25 aprile di Milano resta una festa: si vedono bambini sulle spalle dei genitori e in bicicletta. La manifestazione è viva e nervosa. Il cuore pulsante del corteo è lo spezzone ucraino-iraniano. Si inserisce insieme alla Brigata ebraica. Lo striscione giallo-azzurro è lunghissimo - compete con quello della pace - e l'alleanza è toccante. «No alla resa sì alla pace» si legge in un cartello. Gli ucraini ricevono applausi e fischi. «Il clima quest'anno è più ostile» dice Katia. La propaganda ha pesato. «Il sindaco Sala? Non si è fatto vedere». Ucraini e iraniani cantano dall'inizio alla fine, scandendo gli uni gli slogan degli altri. «Donna, vita, libertà!», «Resistenza è esistenza» «No alla repubblica islamica». Sullo striscione giallo azzurro si incastonano le bandiere persiane. «Libertà! Libertà» è il loro urlo disperato. Il presidente di Anpi Milano Roberto Cenati conferma il sostegno alla causa ucraina. La parte migliore della sinistra sa che quello è il modo migliore di rendere omaggio al 25 aprile.

Purtroppo, non è tutta.

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