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La solitudine del potere che declina

La sconfitta è stata appena annunciata, ma Donald Trump già assapora l'amara solitudine dei perdenti.

La solitudine del potere che declina

La sconfitta è stata appena annunciata, ma Donald Trump già assapora l'amara solitudine dei perdenti. Quei perdenti che detesta e in cui rifiuta di riconoscersi. Ma di cui è, suo malgrado, diventato parte. I primi ad approfittarne, con il fiuto da voltagabbana che anche negli States caratterizza la categoria, sono stati i giornalisti televisivi. Insultati e ridicolizzati da quel «despota» biondo non si son lasciati sfuggire l'occasione di vendicarsi togliendogli la linea e oscurandolo. Ma ora, è chiaro, anche in casa repubblicana qualcuno è pronto a ballare sul suo cadavere. Soprattutto chi teme che Donald mediti di mettersi in tasca i 63 milioni di voti, conquistati con l'appoggio dal «vecchio e grande Partito» per crearne uno nuovo, disegnato a sua immagine e somiglianza. Il primo a voler far carne di porco dello sconfitto è Mitt Romney. Disprezzato da Trump per esser stato fatto a pezzi da Obama nel 2012 l'ex-candidato repubblicano gli ha già dimostrato il suo rancore votando la richiesta democratica d'impeachment. Un rancore esibito anche nel tweet con cui ora accusa il Presidente uscente d'«innescare pulsioni distruttive e pericolose e d'indebolire le fondamenta della Repubblica». Anche chi non balla sul corpaccione dello sconfitto cerca comunque d'evitare il «redde rationem» dei vincitori. O, magari, di conquistarne la benevolenza. Mitch McConnell, anziano capogruppo repubblicano del Senato, già protagonista di numerosi scontri con il Presidente, spiega in un tweet che «Va contato ogni voto legale, ma non le schede illegali. Tutte le parti devono sono tenute ad osservare questo processo». Un modo grazioso e gentile per far capire al furioso Trump che l'appoggerà solo se verrà provata l'esistenza di voti illegali. Ancor più inquietante è l'aria da fine impero che si respira in famiglia. «Ogni voto arrivato legalmente deve essere contato. Ogni voto arrivato illegalmente no. Su questo non ci debbono essere controversie». Un tweet glaciale con cui persino Ivanka - la figlia prediletta che Trump avrebbe addirittura voluto come vice al posto di Pence - sembra prendere le distanze dal genitore sfrattato dalla Casa Bianca. Una precauzione obbligata per una «preferita» tanto ambiziosa, quanto spregiudicata.

Anche perchè convinta, dicono, di poter un giorno occupare quello Studio Ovale da cui hanno appena sloggiato il rabbioso papà.

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