Era lo scorso 21 agosto: a Ventotene un impettito Matteo Renzi, molto preso nella parte, deponeva fiori «europei» assieme alla Merkel sulla tomba di Altiero Spinelli, il padre della costruzione comunitaria. Un inno all'ideale europeo proprio in compagnia di chi, in questi anni, ha fatto di tutto per affossarlo con la complicità dell'euro e della crisi. Sull'isola, per la verità, c'era anche François Hollande, ma il ruolo dell'uomo dell'Eliseo era decisamente quello del comprimario: di questi tempi, Parigi non vale neppure una messa. Trascorrono solo dieci giorni e la coppia italo-tedesca si ritrova a Maranello per rendere omaggio alle Ferrari anche se c'è poco da inneggiare alle «rosse», visto lo strapotere delle Mercedes. Tra una portata e l'altra, alla faccia dell'austerità, del modenese Bottura, lo chef mondiale, i due hanno anche parlato del terremoto nel Centro-Italia. Ci siamo chiesti che senso avesse tutto questo prodigarsi nei confronti di un'alleata che, dai tempi dell'ultimo governo Berlusconi, si è sempre dimostrata inaffidabile. Non abbiamo, infatti, dovuto attendere troppo la risposta di Berlino. È arrivata per bocca del ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble che ha dato, praticamente, dell'irresponsabile a Renzi solo per aver partecipato, assieme a Hollande, facendosi «manipolare» da Tsipras, al vertice dei Paesi mediterranei che hanno firmato la carta di Atene. I tedeschi si sono, infatti, sentiti con le spalle al muro per la loro politica economica dell'austerità a senso unico, naturalmente il loro. Dunque, dopo il danno, la beffa: continuiamo a dover digerire l'atteggiamento miope verso l'Europa di Frau Angela - che si è disinteressata bellamente dei Paesi di serie B mentre il sindaco d'Italia la corteggiava invano - e al tempo stesso ci siamo pure presi gli insulti del maestrino tedesco di turno. Se, nello scorso dicembre, era stato il presidente della Commissione europea, Juncker, indicato come il maggiordomo della Merkel, a metterci in castigo dietro la lavagna, ora è toccato a Schaeuble farci la lezioncina con il ditino alzato. Ci chiediamo che senso abbia andare avanti con «questa» Europa e con l'egoismo di Berlino che pensa solo ai propri interessi, senza, neppure, avere diritto di parola. La conferma sulla necessità di una sterzata, se vogliamo salvare davvero l'Unione, è arrivata direttamente dal presidente della Bce, Mario Draghi, che sarà italiano finché si vuole ma quando ragiona da governatore è sempre al di sopra delle parti.
Giovedì scorso, dalla tana del lupo tedesco, a Francoforte, il superbanchiere aveva ufficialmente alzato il cartellino giallo sulla faccia della donna non più di ferro. Il capo della banca centrale europea è stato molto esplicito nei riguardi della politica d'austerità perseguita dalla Merkel: se non aprirà subito i cordoni della borsa, spendendo ed investendo di più e stimolando così l'intera economia del vecchio Continente, la speranza di una vera ripresa rimarrà una pia illusione. In effetti, fare parte del club monetario di Bruxelles dovrebbe significare prendersi qualche onore ma sostenere anche altrettanti oneri. Il motto indicato dalla signora nibelungica continua, invece, ad essere «uber alles», nel senso che i tedeschi, al di là delle vuote parole d'amicizia, ci sentono davvero poco quando si parla di reciproca ed effettiva collaborazione. Non possiamo più restare soci in affari di un Paese che chiuderà anche il 2016 con un surplus del bilancio pubblico di 27 miliardi continuando a non investire neppure un euro per evitare che altri partner affoghino nel profondo rosso. Se l'Italia e gli altri soci della zona retrocessione debbono ridurre le spese e le tasse, a dispetto dei loro debiti pubblici record, per ridare fiato agli investimenti, a maggior ragione dovrebbe farlo uno Stato che è in forte attivo di bilancio. Così non è. L'aspetto forse più incredibile della vicenda è che l'ottusa politica di austerità ora non piace neppure a molti cittadini tedeschi, sempre più euroscettici, come dimostra la sconfitta elettorale patita domenica scorsa in Meclenburgo. Una grave battuta d'arresto che potrebbe ripetersi con i voti in Turingia e Brandeburgo. Se persino gli elettori della Merkel - a cominciare, ovviamente, dalla politica sugli immigrati giudicata troppo tiepida -, stanno voltando le spalle al cancelliere in gonnella, che senso ha avuto tutto il corteggiamento estivo di Renzi? Dopo l'ultima sculacciata «made in Germany» se lo starà chiedendo anche il giovane Matteo. Del resto, non c'è nulla di nuovo sotto il sole. Basterebbe solo rileggere cosa disse, anni fa, Berlusconi in un'intervista al giornale Die Welt: «Non rimprovero l'austerità. Rimprovero un'idea di Europa che non tiene conto della diversità dei problemi e delle esigenze di un continente fatto di realtà profondamente diverse fra loro. Quando fu stabilito il trattato di Maastricht, c'erano altre condizioni. Dopo è arrivata la stagnazione, dopo la recessione. Con una politica d'austerità si aggrava la situazione».
Tra politici ed economisti che continuano a sbagliare - vogliamo ricordare le dichiarazioni di tanti subito dopo Brexit? -, l'ex premier aveva detto le cose giuste ma finora non l'avevo ascoltato nessuno: cambierà qualcosa?
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.