Solo Letta vuole ridurre i parlamentari Si spacca il circolo degli ex premier

Tra gli inquilini di Palazzo Chigi degli ultimi vent'anni tutti per il No. Nel Pd è psicodramma. Renzi e Berlusconi sono scettici

Solo Letta vuole ridurre i parlamentari Si spacca il circolo degli ex premier

Il No di Prodi, quello di D'Alema, il Ni di Berlusconi, il No di Monti, il Sì di Letta, il forse di Renzi, il boh di Gentiloni. I presidenti del Consiglio degli ultimi 20 anni sono variegati come il caffè, e tutti assieme formano un curioso e interessante club degli ex premier, utile per capire meglio l'andazzo delle prossime settimane, in vista del referendum sul taglio dei parlamentari, la bandiera del grillismo sbiadita sotto il sole cocente d'agosto.

Nel Pd il referendum assume sempre di più le sembianze di un festival del dramma popolare, con toni sempre più accesi e rapporti sempre più tesi, a causa delle differenze di pensiero tra i leader e i peones. E il peso di queste divisioni pesa sempre più sulla testa di Zingaretti e sul governo che lui, vergognandosene, si sforza a proteggere. Pierluigi Bersani (che premier è stato solo incaricato con riserva) anima il fronte del Sì insieme a «Enrico stai sereno». Che è l'unico serio e davvero coerente con il suo percorso e le sue idee. Anche al referendum del 4 dicembre 2016, promosso da quel Renzi che gli fece le scarpe a tradimento, Enrico Letta disse che avrebbe votato Sì, turandosi il naso, «perché mi sono impegnato a far nascere il percorso delle riforme e perché ne sono convinto». E votò a favore di una riforma voluta da quello che lo pugnalò alle spalle, soffiandogli il posto. Straordinario. La stessa cosa che farà il 20 settembre, rimanendo ancorato ai suoi principi, pur non amando il frullato M5s-Pd.

Principi che, evidentemente, non sono quelli che muovono il senatore a vita Mario Monti, il quale, da brava banderuola, si schiera apertamente contro il referendum: «Mi piacerebbe tagliare i parlamentari, ma solo se dentro ad una riforma della legge elettorale e dei regolamenti parlamentari, fatto così a stralcio è pura demagogia». Coerente però col referendum sulla riforma costituzionale Renzi-Boschi del 2016 sulla quale pure si schierò contro, nonostante avesse votato Sì in Parlamento nel 2014 in veste leader di Scelta civica.

Mentre l'ex leader de L'Ulivo, Romano Prodi, che pur non sopportando Renzi, nel 2016 votò Sì alla sua riforma («per la mia storia personale e le possibili conseguenze sull'esterno»), stavolta ci ha ripensato perché il «vero problema non sta nel numero ma nel modo in cui i parlamentari vengono eletti, ovvero nominati dai partiti e senza legame con il territorio in cui vengono eletti». Il suo successore Massimo D'Alema è contrario anche questa volta, così come lo fu per la riforma del 2016, anche se quella volta in ballo c'era Renzi.

A proposito. Matteo Renzi è sulla stessa linea di Silvio Berlusconi: non si esprime. Il Cavaliere per il momento rivendica solamente il fatto che il taglio dei parlamentari è merito della sua riforma, poi bocciata dal referendum della sinistra e lascia libertà di coscienza ai suoi parlamentari. La stessa cosa che fa Renzi, con l'unica differenza che quest'ultimo non sa stare zitto: «Non è una riforma costituzionale, si vota uno spot. Le istituzioni, così, non funzionano.

Rifiutate la cosa più squallida che c'è: il populismo di chi non studia e pensa di prendere in giro gli italiani con due tweet ad effetto».

Per quanto riguarda gli altri ex inquilini di Palazzo Chigi, Giuliano Amato, Lamberto Dini e Paolo Gentiloni, si cuciono la bocca. Buon per loro.

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