Nessuno meglio di Rocco Siffredi conosce il mondo del porno professionistico.
Che impressione le fa l'escalation di suicidi tra le tue colleghe?
«È una cosa tristissima. Che mi preoccupa. E sarà sempre peggio».
Il motivo?
«Nella maggior parte dei casi le ragazze che si avvicinano ai casting non sono attrezzate per affrontare questo mestiere».
In che senso?
«Sono giovanissime. Fragili mentalmente. A volte perfino minorenni. Credono che sia un lavoro come gli altri. Ma non è così».
E com'è?
«Nell'epoca del web, la gogna dei social può psicologicamente distruggere. E spingere a toglierti la vita».
Tutta colpa di internet?
«No. C'è la droga. Quando sei depresso, cominci con la cocaina. Ed è la fine».
Negli «suoi» anni '90 era diverso?
«Il porno ai miei tempi era più soft. Ci sentivamo in un certo senso dei pionieri. Ambivamo a diventare veri attori, anche se di un genere particolare».
Poi le cose sono peggiorate.
«Sì, il porno è diventato sempre più estremo. E a chi lo interpreta davanti a una telecamera sono richieste capacità alla portata di pochi».
I cinque suicidi delle porno-star sono stati tutti negli Usa. È solo una coincidenza?
«No. Negli Stati Uniti il mercato del porno è lo specchio di una società dalla doppia morale che - all'apparenza - condanna il sesso, ma poi - in pratica - lo alimenta con un business da milioni di euro».
Si tratta della
stessa ipocrisia a «stelle e strisce» emersa nello scandalo Weinstein?«Un monumento al bigottismo americano. Dare del porco a Weinstein è servito a lavare le coscienze anche di chi è più molto più porco di lui».
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