A Palazzo Chigi considerano ormai chiuso il caso De Luca, che tanto rumore ha fatto per qualche giorno - prima di venire oscurato dalla tragedia di Parigi - e che ora viene derubricato a «vicenda locale». C'è la ragionevole certezza che dalle carte giudiziarie uscirà poco o nulla di nuovo contro il governatore della Campania, il quale - secondo quanto annunciato dai pm romani che sono titolari del fascicolo - sarà ascoltato solo a chiusura dell'inchiesta, come lui aveva chiesto fin da fine ottobre per spiegare la sua «completa estraneità ai fatti per cui si procede». C'è la sensazione che alcuni pezzi forti dell'accusa, come le presunte «conversazioni in codice» tra la giudice Scognamiglio - che faceva parte del collegio che accolse il ricorso di De Luca contro la sospensione ex legge Severino - e il marito, non fossero per nulla in codice e siano destinate alla smentita: i due, spiega la difesa, parlavano di «preside» e di «nulla osta» intendendo proprio preside (della scuola del figlio) e nulla osta (per trasferire il figlio ad altra scuola). Un pasticcio, insomma, che finirebbe - se confermato - per rafforzare la posizione del governatore. Il quale non sembra per nulla impressionato neppure dal can can politico che è seguito al suo improvviso coinvolgimento nell'inchiesta per corruzione, che ha fatto rialzare la testa ai suoi tanti nemici, a Roma e soprattutto a Napoli. Forte dell'appoggio del premier, che appena ha capito che la vicenda giudiziaria si stava arenando ha sbloccato nell'ultimo Consiglio dei ministri i fondi per Bagnoli e per la Terra dei fuochi, Vincenzo De Luca ha fatto sapere ai suoi che intende subito «mettersi al lavoro» sui dossier di governo della Campania, e che non ci pensa neppure a rimettere mano alla giunta, come molti avevano pensato o sperato. Né a Roma hanno intenzione di chiedergli rimpasti o sostituzioni: «Lui non accetterebbe, e noi non vogliamo immischiarci nella questione», dicono al Nazareno. Dove sanno bene che è in corso una faida interna al Pd locale, che si concluderà probabilmente con lo smacco degli avversari di De Luca ed un'unica sostituzione, quella del dimissionario braccio destro del governatore, l'indagato Mastursi, come vice segretario. Ieri la segretaria regionale Assunta Tartaglione ha convocato una riunione di dirigenti, assessori e parlamentari campani per discutere dell'«azzeramento della segreteria», ma in molti - a cominciare dai giovani turchi che pure, alle primarie, avevano sostenuto l'avversario di De Luca - l'hanno disertata. Tartaglione e il capogruppo Pd in Regione Mario Casillo, in rotta con De Luca dopo la formazione della giunta, nella quale il presidente non aveva dato alla loro componente neppure uno strapuntino, hanno colto l'occasione dell'indebolimento del governatore dopo lo scoppio dell'inchiesta e del relativo scandalo per tentare di dare l'assalto al governo deluchiano, denunciando una «pessima gestione mediatica» della vicenda giudiziaria. E annunciando che «il rapporto tra il Pd e De Luca deve cambiare: è necessaria una fase di rilancio». Tipica formula per chiedere un rimpasto, che però non ci sarà.
Cosa che il fronte anti-governatore non deve aver preso bene, a giudicare dall'intervista in cui Casillo racconta di aver saputo per mesi dell'ipotesi di incarico (in verità mai attribuito) della Regione al marito della giudice Scognamiglio, e di averne parlato con gli uomini di De Luca. «Non solo non denunciò all'epoca la cosa, ma solo ieri, improvvisamente, se ne è ricordato», nota sarcastico un deputato campano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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