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Una sottovalutazione della Farnesina. Adesso i rimpatri li gestiscono i militari

La nostra aeronautica ha messo in piedi un ponte aereo a tempo di record

Una sottovalutazione della Farnesina. Adesso i rimpatri li gestiscono i militari

«Abbiamo abbandonato Kabul. Dopo 20 anni siamo falliti totalmente, abbiamo lasciato i colleghi senza sapere cosa succederà loro. I talebani li cercano casa per casa, non sappiamo cosa succederà loro»: sono le parole disperate di Arif Aryakhail, medico dell'Aics Kabul, arrivato ieri a Fiumicino con il volo che ha riportato connazionali e interpreti in Italia. Le sue parole non lasciano ombra di dubbio: «I talebani cercano casa per casa chi ha lavorato con noi: giornalisti, colleghi, donne». Ecco perché bisogna fare presto per recuperare chi è rimasto laggiù.

Ciò che non fa la politica lo stanno facendo i militari, con grande sacrificio. Al Covi (Comando operativo di vertice interforze) non si dorme da giorni, ovvero dall'inizio della crisi. Le operazioni di esfiltrazione dei connazionali, degli interpreti e delle loro famiglie sono partite troppo tardi, ma non per colpa delle Forze armate, semmai perché la Farnesina e tutto il governo hanno sottovalutato la situazione. C'era un problema di controlli, soprattutto quelli antiterrorismo, sulle persone che dovevano essere portate in Patria, così la burocrazia, come sempre accade, ha ingessato la situazione. Mentre centinaia di migranti entrano in Italia senza problemi, per portare chi ha lavorato per il contingente problemi a non finire.

Nessuno ha pensato che forse i controlli avrebbero potuto essere fatti in Italia, che in questi casi presto significa sicurezza. E così i buchi hanno dovuto tapparli uomini e donne in divisa, a partire dall'Aeronautica, che ha organizzato in tempi strettissimi, grazie all'addestramento continuo e alle capacità sviluppate, un ponte aereo con i KC767 del 14esimo stormo di Pratica di Mare, fino a Esercito, Carabinieri, Marina, con gli uomini della Joint Extractor Task Force, ovvero un nucleo speciale composto da 25 persone, delle quali 22 rischierate alla base italiana nell'aeroporto Abdullah al-Mubarak di Kuwait City e 3 nell'aeroporto di Kabul, dove c'è anche un rappresentante diplomatico. Questi ultimi sono addetti alla verifica dei visti degli interpreti e delle loro famiglie. La gestione, seguita dal ministro Lorenzo Guerini e dal Capo di Stato Maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli, è affidata nelle mani del generale di Corpo d'Armata Luciano Portolano, del Covi, che sta facendo l'impossibile per riportare tutti a casa sani e salvi. Ma il coordinamento è puntuale a livello ministeriale (con contatti anche con i ministri Luigi Di Maio e Luciana Lamorgese) e anche col premier Draghi, aggiornato di ora in ora. «Avevamo perso i contatti - ci racconta un interprete -, ma poi la Difesa italiana ci ha chiamati e con la mia famiglia stiamo attendendo istruzioni per andare in aeroporto e vedere se riusciremo a partire». Il volo dell'Aeronautica, che può ospitare poco più di 100 persone, decollerà non appena l'aeroporto di Kabul, chiuso pare almeno per le prossime 48 ore, non riaprirà. È possibile sia necessaria un'azione militare per ristabilire il traffico aereo. La situazione è fluida e molto complessa.

Piano e operazione sono stati pianificati e diretti in tempi rapidissimi dal Covi ed eseguiti dal Joint Force Headquarter (JFHQ), elemento operativo della stessa struttura. I voli di rientro saranno naturalmente tutti militari, vista l'emergenza.

Il dispositivo militare del Comando Operativo di vertice interforze rimarrà operativo presso l'aeroporto di Kabul e rientrerà in Italia, alla conclusione delle operazioni, con un velivolo C130 dell'Aeronautica militare.

Un sacrificio e un impegno che, come al solito, viene sottovalutato dalla politica.

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