Le spalle voltate al partito dei sindaci

Il presidente del Consiglio cinicamente liquida gli ex amici

Le spalle voltate al partito dei sindaci

L'Italia sta franando e purtroppo non è una metafora. È cominciato il solito gioco delle responsabilità. Accuse e contraccuse. C'è un fatto politico che comunque appare chiaro. Il «partito dei sindaci e dei governatori» ha fallito. Ha tradito la propria ragione sociale. Erano quelli della spinta dal basso e promettevano due cose banali, ma che in questo Paese sono un mezzo miracolo: amministrare bene e tutelare il territorio. Il risultato sono pezzi di terra che cadono giù, alluvioni, inondazioni, clientele, truffe, sprechi e multe non pagate. Tutte cose che fanno parte della nostra tradizione, ma loro si sono superati. Le scuse e gli alibi non bastano. Piove, i soldi delle tasse non bastano, lo Stato ci toglie le risorse e l'Europa non ci aiuta. Vero, ma questi qui dovevano essere i cavalli di razza della sinistra: seri, responsabili, concreti, perfino un po' onesti, l'alternativa ai politici di Ditta&Palazzo. Qualcuno sperava che fossero loro gli anti D'Alema.

Nel partito dei sindaci fino a qualche tempo fa c'era anche Matteo Renzi. Non un peones qualsiasi, ma un pezzo pregiato, tanto è vero che ha fatto carriera. E cosa ha architettato appena arrivato a Palazzo Chigi? Ha preso le distanze dalla sua vecchia banda. Un colpo alla volta. Li ha impiccati con la legge di stabilità e quando Chiamparino (a nome di tutti) si è lamentato, Matteo ha risposto: arrangiatevi. Non tutela nessuno. Non spende una parola. Non li difende. Ha scaricato il vecchio Burlando con una manciata di parole spedite dall'Australia: 20 anni di politica del territorio da rottamare. Ogni volta ha fatto capire che tra lui e il club di sindaci e governatori rossi non c'è un vero rapporto di parentela politica. Quelli sono il vecchio e in quella mischia lui ci è finito per caso.

Il rischio è che il renzismo vinca nei sondaggi, ma perda contatto con l'elettorato sul territorio. Le grida d'allarme sulle astensioni in Emilia Romagna sono una reale preoccupazione. Fino a che punto il segretario del Pd può scaricare sulla classe dirigente locale il malessere degli italiani? Il segreto è lavorare a una nuova operazione di marketing. La prima ha avuto successo. Il Pd di Renzi non è il Pd di Bersani (e neppure di D'Alema, di Veltroni, della Bindi e di tutti quelli segnati con la croce dei rottamati). La seconda è rinnegare il partito dei sindaci. Non c'è più «piove governo ladro», ma «piove governatore (o sindaco) ladro».

È un transfer di antipatia e responsabilità.

E non è neppure difficile, visto il basso gradimento attuale delle regioni. Renzi ha un particolare istinto nel sentire l'odore dei perdenti. Non appare spesso nel fango delle terre devastate. Non è facile vederlo accanto agli amministratori del suo partito. E non è un caso.

Quello che un tempo, più del Pd,

era il suo vero partito, ora è solo un progetto politico interrotto e senza futuro. È il marchio di una sinistra pasticciona.

Matteo sta pensando di seppellirlo a modo suo, con il più cinico dei «partito dei sindaci chi?».

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